Professori e studenti
alla prova
più difficile

Mi sentite? Mi vedete? Domande che non avresti certo formulato se ti fossi trovato davanti al solito gruppo di studenti. Volti noti, in molti casi e comunque giovanili. Li avresti guardati in faccia e saresti partito di buona lena a dir loro ciò che sapevi di dover dire. Provo, invece, un certo imbarazzo nel trovarmi qui solo nell’aula zeppa di computer su banchi vuoti. Tranquillo, mi dice una cordiale assistente, Valentina Canu, che comunque ci tiene a rispettare i margini di distanza: gli studenti ascolteranno con attenzione e, con lo streaming, riusciranno anche a dialogare con noi.  Sarà, penso tra me e me. Sul tavolo ho solo i libri e i quadernini neri con gli appunti, quelli che uso abitualmente.

Non ho preparato immagini; non mi sento pronto a gestire, con tranquillità, questa nuova era del digitale, dove le immagini se non tutto sono una buona parte. Ho mal digerito, a suo tempo, anche le lezioni fatte con le comode slide. Che cosa comporterà – mi chiedo – iniziando questa esperienza del tutto nuova, fare lezione in questo modo sconosciuto. Capisco che siamo in una fase durante la quale dobbiamo far prevalere la responsabilità e cacciar via i cattivi pensieri anarchici che ci spingerebbero verso la rottura di questi nuovi comportamenti. L’etica torna contare, in particolar modo quella della responsabilità: mettiamoci tutti alla prova, dunque.

Correre verso l’innovazione

Dal palazzo del Rettorato dell’ateneo senese arrivano utili indicazioni: si potrà usare una specifica piattaforma, Moodle; altri stanno scegliendo la via di Skype.  Lunedì i direttori dei dipartimenti discuteranno, con la struttura predisposta, come operare nel concreto mentre tanti professori stanno già preparando, in forme diverse, le lezioni che saranno disponibili nella piattaforma. In alcuni atenei milanesi, più preparati d’altri, l’operazione didattica in rete è scattata non appena s’è saputo della chiusura degli atenei. Tutti gli atenei siciliani si riuniranno per decidere una strategia congiunta. Ateneo che vai, soluzione che trovi.

L’ epidemia  costringe tutti a correre più velocemente sul fronte dell’innovazione anche nella didattica, che è qualcosa di molto diverso dalle già sperimentate forme di teledidattica. Era già accaduto in altri settori che la crisi imponesse svolte consistenti. Nel giornalismo, ad esempio, quando nel volger di pochi mesi si passò dalla lavorazione a caldo (cara vecchia linotype) a quella a freddo, con i computer che presero il posto delle amate Olivetti.  Era già accaduto anche nelle Università, nei primi anni Ottanta, quando i giganteschi computer avevano sostituito, nella pratica di avanzare le domande di finanziamento per Piani della Ricerca al Ministero, le antiche forme cartacee. Ci fu il panico, ma poi lentamente, anche le resistenze burocratiche furono superate e si crearono le primordiali forme di vita digitale.  Venne poi l’era delle email e, ancora, quella del veloce web 2.0 e delle reti ad alta velocità. Queste evoluzioni, nelle sue forme più alte, hanno riguardato il più delle volte ristrette cerchie di cittadini, mentre dilagava l’uso dei social.

Le crisi spesso determinano accelerazioni nella vita delle persone e nelle pratiche sociali.  Andremo da queste settimane in poi sempre più verso forme integrate d’insegnamento: la vasta gamma di tecnologie che ci sono offerte dalla sfera digitale permetterà di affiancare alle lezioni frontali, forme inedite d’insegnamento. Il contatto diretto tra maestri e allievi rimane e rimarrà, comunque, la forma più alta e nobile dell’insegnamento universitario. Forma che è quindi insostituibile.  Così come l’apertura degli atenei al mondo e alla vita delle comunità territoriali.  Basta guardare l’affresco del Buongoverno del Lorenzetti dove il docente in toga rossa fa lezione agli studenti con gli archi che si aprono sulla via. Un manifesto.

La via della sperimentazione

Al Master in Comunicazione  d’Impresa di Siena, il giorno dopo l’annuncio della chiusura, è sta scelta la via della sperimentazione ed io vi sono cascato dentro come cavia. Hanno scelto di utilizzare, dopo svariati tentativi, il programma MEET di Google. I ragazzi e le ragazze del master sono più attratti da quest’opportunità più del vecchio docente: hanno immediatamente lanciato un hashtag (# Il Master non si ferma) potendo così formulare domande via chat. E’ stata dura parlare per ore e ore davanti a tre monitor, con le facce delle studentesse e degli studenti che, di tanto in tanto, facevano capolino sullo schermo.  Loro riusciranno a seguire, con la massima attenzione, i complessi ragionamenti sul rapporto tra media e opinione pubblica, sul newsmaking o sull’agenda setting o sugli stereotipi di Lippmann? Mi sembra un mistero.  Poi arriva, appena finita la lezione, una loro nota che mi tranquillizza: <<Oggi con il professore abbiamo parlato di “Teorie dell’opinione pubblica e newsmaking”. Non c’era argomento più appropriato in questo momento storico in cui i media stanno giocando un ruolo almeno decisivo nella gestione dell’emergenza Coronavirus in Italia. 30 collegamenti in contemporanea, cinque ore di lezione interattiva, studenti e docenti che accettano la sfida dell’e-learning. Sul profilo Instagram mciunisi trovate uno stralcio della lezione>>. Altre sfide attendono docenti e studenti, sfide impegnative.  Tutto conviene fare, in questo momento, tranne che dividersi tra esaltatori acritici dei nuovi metodi o passatisti nostalgici del tempo che fu. E’ la crisi che ci costringe a cambiare: le università dovrebbero esser in prima linea nella voglia di dare risposte adeguate risposte a questa delicata fase.