L’inquinamento favorisce
la diffusione del virus
ecco le prove scientifiche
Purtroppo, grande è la confusione in materia di qualità e quantità della informazione circa genesi, evoluzione, effetti della pandemia nel nostro Paese: sorprendono e rattristano molto, in particolare, ì dati su diffusione del contagio e mortalità da coronavirus in Pianura Padana. Quei dati hanno stimolato ricercatori di diverse discipline, dalle Università di Bologna, Bari, Roma Tor Vergata, Cagliari, Torino, Milano ed altre ancora, a porre i loro strumenti conoscitivi a servizio di uno sforzo difficile, ma necessario, di comprensione di un così peculiare stato di cose, senza né sottovalutare né misconoscere la centralità, ancor più in piena emergenza pandemica, delle discipline virologiche, infettivologiche, epidemiologiche: certo non lo farò io!
L’ambientalismo scientifico italiano ha tra le sue radici l’esperienza della Medicina del Lavoro, da cui scaturì a fine ’70 la chiamata a costruire una ‘comunità scientifica di massa’, paradigma della necessità che lavoratori e forze riformatrici acquisissero, per poi diffonderle, le conoscenze tecnico-scientifiche necessarie per poter efficacemente esercitare critica a disuguaglianze ed iniquità sociali e progettare cambiamento, nei luoghi di lavoro e nei territori. Lo sforzo interdisciplinare citato ha portato, in tempi obbligatoriamente ristretti, a un documenti di lavoro (position paper) basato sulla letteratura scientifica ad oggi disponibile (non articoli originali da sottoporre a ‘peer review’ in vista di pubblicazione su rivista), credo nella speranza di poter così contribuire anche a delineare la migliore strategia per un ‘Nord-locomotiva’ che riprenda a marciare stavolta in modo sostenibile, con il focus sul – sin qui mancato – rispetto di persone, comunità, natura, contributo coerente con l’urgenza di promuovere adattamento, resilienza e generatività per dare linfa vitale al modello di sviluppo postulato dalla Agenda 2030, ad un vero Green New Deal eticamente evocato dalla ‘Laudato Sì’ nei termini di ‘Ecologia Integrale’. A riprova di quanto tale azione avesse senso, analogo sforzo è ora in atto da parte di scienziati che operano in una pluralità di discipline nelle migliori Università del mondo. In sintesi, il paper indica come plausibile e degna di approfondimento scientifico la possibile sovrapponibilità tra aree territoriali caratterizzate contestualmente da elevata circolazione del virus ed alto inquinamento da particolato fine, per valutare eventuali effetti sinergici esitanti in diffusione del virus via aerosol per distanze superiori a quelle consigliate dall’OMS. Ha perciò destato in me perplessità il registrare alcune scomposte, immediate reazioni all’uscita del ‘position paper’, che peraltro era stato rispettosamente inviato dagli autori alle competenti istituzioni (senza averne risposta alcuna) prima di essere reso pubblico.
Il confronto è sempre necessario
Nonostante il ‘paper’ avesse destato attenzioni autorevoli, dal Prof. Vincenzo Balzani, Emerito Alma Mater e Linceo al Prof. Ugo Bardi, UniFI e Presidente ‘Club of Rome’ fino al Prof. Guido Visconti, Emerito UniAQ , Assessori regionali padani di opposte appartenenze, manager da loro nominati a dirigere organi deputati al controllo ambientale e alcuni ‘depositari di saperi settoriali’ coinvolti dalla tematica proposta non hanno reagito entrando nel merito, fornendo dati a smentire l’assunto del ‘paper’, rendendo disponibili i filtri di centraline di controllo dell’inquinamento atmosferico per operare verifiche analitiche sulla presenza di virus nel particolato captato. Con tono stizzito, pareva che gli attori di tali reazioni volessero significarci manzonianamente che approfondimento e confronto nel merito ‘non s’aveva da fare’, quasi che l’ipotesi prospettata dovesse annoverarsi tra le ‘castronerie’. Ciò quando il ‘dubito ergo sum’ dovrebbe essere stella polare per scienza e coscienza, stimolando il confronto tra metodologie, basi di dati e modelli allo scopo di validare scenari e proposte progettuali affidabili da fornire ai decisori per le azioni prioritarie da intraprendere, tema cruciale anche nel dibattito internazionale.
Lo dimostra la riflessione di Jim Al-Khalili “Doubt is essential for science,but for politicians it’s a sign of weakness” (https://www.theguardian.com/commentisfree/2020/apr/21/doubt-essential-science-politicians-coronavirus) Tono e contenuto delle reazioni registrate lasciano intuire la probabile presenza, nella penombra, in qualità di burattinai del ‘non s’ha da fare’, di ‘vested interests’ fossili che non desiderano venga messo in discussione l’assai profittevole (per loro) modello di sviluppo che ha portato la Pianura Padana ad essere una delle quattro aree ove si respira la peggiore aria al mondo, modello fatto di concentrazione insediativa, infrastrutture fortemente impattanti, sfruttamento intensivo di ogni risorsa, cementificazione senza limiti, assenza di qualsivoglia manutenzione territoriale, brama famelica di norme che permettano la realizzazione di impianti obsoleti, dalle centrali agli inceneritori. Due decenni sono trascorsi tra indifferenza e sottovalutazione di tale conclamato inquinamento, che ogni anno causa decine di migliaia di morti addizionali nel bacino del Po, anni in cui sono contestualmente stati verificati clinicamente sia compromissione del sistema respiratorio che abbassamento di difese immunitarie in molti di coloro che in quel bacino vivono. Da ambientalista che non ha mai amato né allarmismo né ‘tranquillizzazione a prescindere’, ho denunciato l’assordante silenzio e l’inazione di chi non doveva né poteva ignorare che l’aria padana è da anni classificata cancerogena dallo IARC di Lione, referente dell’OMS, per il tenore di ‘black liquor’, ricordando al contempo il da sempre noto ruolo del particolato fine quale vettore di ogni tipo di inquinante, dai metalli pesanti agli idrocarburi policiclici aromatici fino a virus e batteri.
Già negli anni ‘80 in ENEA (Dipartimento PAS Protezione Ambiente Salute) studiavamo il fenomeno degli ‘aerosol cancerogeni’ in Pianura Padana nell’intorno di forti sorgenti emissive quali le centrali termoelettriche (partendo da Piacenza), convinti che nell’area la frequenza di nebbia rendesse ancor più biologicamente aggressivi gli inquinanti inalati (e non si parlava ancora di PM2,5 e della relativa facilità di loro accesso agli alveoli polmonari). Personalmente, da giovane ricercatore mi ero imbattuto nel tema ‘diffusione e trasporto di aerosol con presenza di virus e batteri’ ancor prima, grazie ad uno studio che ne conclamava l’impatto sanitario (patologie gastroenteriche e respiratorie) su addetti a impianti di depurazione e residenti in aree a tali impianti contigue (Fannin, K.F. Vana, S.C.Jakubowski, W. Effect of an Activated Sludge Wastewater Treatment Plant on Ambient Air Denisities of Aerosol Containing Bacteria and Viruses, Appl. Environ. Microbiol. 1985, 49 (5): 1191-1196).
Una strategia partecipata
Fu alla luce di quella evidenza che iniziammo a consigliare alle istituzioni interessate di normare la copertura delle vasche di aerazione dei depuratori, sorgente degli aerosol, con apposite centine. Ha ulteriormente ravvivato la mia sensibilità alla materia l’aver condiviso un anno fa a Calvisano, nel Bresciano, le forti difficoltà registrate da cittadini ed istituzioni locali nel far decollare una strategia partecipata che, acclarandone le cause, contrastasse il pericoloso picco di legionellosi e polmoniti anomale che in quell’area si riscontrava da mesi. Per questo non mi è garbato, nel pieno di una emergenza pandemica, vedere attori istituzionali e tecnici settoriali sottrarsi sbrigativamente (sindrome ‘non disturbare il manovratore’) alla legittima richiesta di approfondire lo studio di possibili relazioni tra non episodiche concentrazioni fuori norma di PM2,5-PM10 e pesante circolazione di coronavirus. Solo le ‘anime belle’ potrebbero negare a priori che tale atteggiamento possa rivelarsi ‘suggerito’ per non verificare, non potendo più escluderla a priori, quella potenziale correlazione tra i fenomeni da cui discenderebbe l’obbligo, per i pubblici poteri tutori dell’interesse generale (dal diritto alla salute fino all’ambiente pulito come garanzia di salubrità e benessere delle popolazioni), di scelte politiche capaci di correggere le cause strutturali dei guasti riscontrati.
Su questioni di tale momento, a mio avviso, alle istituzioni competerebbe di chiamare al tavolo di confronto tutti gli attori interessati, per valutare in modo trasparente le opzioni poste in campo. Percepire potenti ‘vested interests’ fossili sullo sfondo, intendere alti lai da ‘lesa maestà corporativa accademica’, vedere neolaureati discettare sui ‘social’, con supponenza idolatrica, di ‘peer review’ (di cui nessuno nega l’importanza, ma i cui esiti non corrispondono sempre , a posteriori, alle attese) mi obbligano a rimettere al centro una vexata quaestio da tempo incombente: ‘come governare sistemi complessi in regime di incertezza?’.
Do qui per acquisite ‘critica alla neutralità della scienza’ ed urgenza di un partecipato‘controllo sociale sulle tecnologie’, a tutela di persone e comunità da chiusure autoreferenziali di ‘caste sacerdotali’ detentrici del sapere, tante volte incontrate durante le battaglie contro i periodici tentativi di rilanciare energia nucleare, inceneritori, grandi opere, manipolazione di corredi genetici. La pandemia ha fatto crescere paure ed ansie anche per la percezione sociale dell’incertezza legata alla mancanza di consapevoli politiche di ‘exit strategy’ verso scenari di sviluppo sostenibile (non certo “ripartenza -‘liberi tutti’ – ritorno al passato”) ed al riproporsi di modelli culturali permeati di dualismi ricorrenti, dal conflitto tra le ‘due culture’ a quello ‘specialismo vs generalismo’, con la aggravante della modalità ‘storytelling’/‘fake news’ oggi prevalente. Si rispolveri, allora, il pensiero sistemico, da Morin a De Rosnay,da Prigogine a Laszlo e Capra: ‘l’uomo inventó il Telescopio per conoscere e comprendere l’infinitamente lontano, il Microscopio per conoscere e comprendere l’infinitamente piccolo, oggi inventi il Macroscopio, per conoscere, capire e governare l’infinitamente complesso tipico della globalizzazione deregolata che perturba e sconvolge assetti storici, corpi normativi, sistemi di valori, relazioni strategiche, culture, ambiente. La complessità non ammette letture probabilistiche di fenomeni la cui comprensione si fonda sui rami stocastici della Termodinamica e sulle ‘matematiche del caos’ (es. Cambiamento Climatico).
Governare la complessità
Governare la complessità in regime di incertezza implica anzitutto lettura sistematica dei processi, a partire dallo studio degli insediamenti antropici come luogo/rete dei flussi di materia, informazione, energia che sottendono, alimentandoli, gli insediamenti stessi. L’analisi sistemica consente di redigere bilanci ambientali ed energetici (ed economico-finanziari ad essi correlati) e calcolare efficienza e rendimento dei diversi modi d’uso delle risorse in campo (finite, cicliche, rinnovabili), bilanci prodromici alla semplificazione necessaria ai fini del processo di decision making (‘conoscere per deliberare’) circa le opzioni da privilegiare nell’interesse generale, sapendo che modelli di sviluppo sostenibili sono quelli che introducono ordine (neghentropia) nei sistemi a risorse finite, quale la nostra ‘casa comune’ Terra. Accettare la logica del Macroscopio significa definire quale sia la “Best Needed Information”tra tutte quelle disponibili (oggi ridondanti) scegliendo il ‘grado di risoluzione’ dello ‘strumento lettore’, dalla scala locale all’area vasta fino al globo, in funzione del fenomeno considerato: analisi statistica, input/output, di processo ed ogni nuova modalità resa possibile dll’innovazione aiuteranno a leggere, modellizzare e infine governare le connessioni tra i flussi di risorse che sottendono l’agire antropico preso in esame, non ‘frammento’, ma ‘insieme unitario’.
Tale approccio, che per le civilizzazioni passate si traduceva in costante osservazione dei micro- e macro-fenomeni con cui un uomo consapevole del ‘limite’ entrava in contatto durante la sua vita, osservazione da cui distillare le informazioni essenziali da trasmettere alle generazioni future in modi che andavano dal mito alla trasmissione orale e poi scritta, dovrebbe essere comprensibile più che mai nell’epoca 4.0 del passaggio ormai ineluttabile dalla cifra lineare a quella circolare, a partire dai cicli economici ai processi sociali e culturali. Colpisce, nella cultura espressa dai detrattori ‘a priori’ del ‘position paper’, l’assenza di menzione del Principio di Precauzione, fondamentale per governare problemi gravi come gli attuali. Pare in atto una rimozione sistematica di 30 anni di studi ed esperienze sul senso di tale Principio, strumento cautelativo per prendere decisioni politiche ed economiche su questioni scientificamente controverse senza perdere di vista l’unitarietà del reale (evitando il rischio ‘pagliuzza vs trave’).
Nel Rapporto “Late lessons from early warnings: the precautionary principle 1896-2000” ( https://www.eea.europa.eu/publications/environmental_issue_report_2001_22 ), essenziale per inquadrare a livello comunitario il Principio di Precauzione, l’Agenzia Europea dell’Ambiente analizzò, documentandoli con rigore i guasti generati da una incultura industriale (più ancora dalla finanziaria oggi dominante) finalizzata solo alla deregolata massimizzazione del profitto per pochi a fronte dell’impoverimento e della perdita di dignità di tanti (gli ‘scarti’ ricordati da Papa Francesco). La ‘provocazione’ rappresentata dal ‘position paper’ (che comunque non è Vangelo) a mio avviso è stata fondamentale per liberare pensiero innovativo ed energia intellettuale pluridisciplinare da cui già sono sortiti frutti cognitivi utili al governo della pandemia in atto, dal rivisitare la metrica del ‘distanziamento sociale’ al misurare con sempre migliore approssimazione la trasmissione di droplets in aria fino al ricercare e rinvenire tracce del virus sia nel particolato intercettato dai filtri delle centraline di controllo (in 8 su 34 filtri a Bergamo) che nelle acque reflue (a Parigi, mentre a Milano è l’Ist. Mario Negri che le sta analizzando). La ‘provocazione’ è stata anche utile a leggere le connessioni sistemiche con altre crisi in essere (Crisi Climatica) e si dimostrerà tale anche ai fini della prevenzione di altre crisi attese. E’ tempo di Responsabilità Sociale e di una vera Transizione che riporti Persona, Comunità, relazioni umane a valori centrali del nuovo mondo che dobbiamo costruire, a partire dalla ricostruzione di un Servizio Sanitario Nazionale che attui il diritto costituzionale dei cittadini alla salute dei cittadini.
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