L’impossibilità del sogno di un futuro collettivo, avere vent’anni il “22.2.22”

“Venezia, 22 febbraio 2022. Anna Bartoli muore facendosi esplodere nei pressi di Piazza San Marco a Venezia. I vigili del fuoco hanno avuto difficoltà a recuperare il corpo. Anna, 22 anni, frequentava l’università di architettura a Venezia, aveva una passione per i viaggi e il volontariato; era tornata a vivere con la madre da quando aveva perso il lavoro durante il primo lockdown”.  Con questo incipit si apre la prosa che introduce 22.2.22 di Franzesca Sante. Dopo avere parlato dell’inchiesta di Panorama dedicata alla (sfortunatamente da loro definita) “generazione Xanax” ho avuto modo di parlare con diversi protagonisti di quella generazione che troppe volte giudichiamo o ancora peggio generalizziamo con parametri che non possono loro appartenere.

Questo libro di poesie, ma non solo, a tratti prosastico o con dialoghi tranquillamente riproducibili sulla scena teatrale, racconta appunto dall’interno gli attuali ventenni e lo fa nella maniera più tragica e meno formale, un suicidio, un suicidio che si consuma nel tempo di scaricamento di una batteria del cellulare, come se quel cedere man mano energia in questi anni abbia poi spento chi oggi al contrario dovrebbe raccogliere il progetto della propria vita. Ma come spiega molto bene l’autrice, in questi ultimi anni, complice il Covid, ma certo non per questo imputato principale, abbiamo a qualsiasi livello sottratto ruoli e figure di riferimento che non sono state sostituite se non da una realtà immaginaria, appunto virtuale.

“La morte di Anna Bartoli non è un episodio isolato. Si somma ai numerosi casi di giovani suicidi avvenuti nell’ultimo anno (ci si riferisce al periodo 2021-2022 n.d.a.) aumentando la sensazione di un profondo cordoglio nella popolazione e la preoccupazione del Governo, che in queste settimane ha abilitato un numero di emergenza anti-suicidi. […] Secondo gli psicologi la condizione di base per la felicità è un pieno coinvolgimento in quello che si sta facendo, un’aderenza tra azione e spazio interiore utopico”.

Dunque a colpire in questo libro è la piena consapevolezza che il periodo del Covid più che carattere temporale assume un ruolo spaziale, di contenitore, e che anche le persone che vivono attorno alla protagonista nei suoi ultimi momenti di vita ricevono in realtà dal contesto in cui si trovano gli stessi input ai quali decidono di rispondere in maniera differente. Ma al netto degli esiti e anche della tragedia Franzesca Sante esce da un certo canone che ha avvolto i più recenti esordi anche per case editrici molto prestigiose e forse senza quella necessità ha saputo creare un racconto puro, pulito e anche per questo tremendamente brutale.

Franzesca Sante

Sono convinto che questo libro ben più di altri racconti quello che molta di questa generazione tiene per sé, non mancata volontà, nemmeno disfunzionalità, ma una vera e propria contingenza, mancanza di sogno compensata da una totalità virtuale che distrugge nemmeno solo gli affetti quanto piuttosto la possibilità di fabbricare il proprio futuro e la propria essenza all’interno di un contesto collettivo.

C’è chiaramente un limite nella nostra ultima società neoliberista dei guadagni facili, dei bitcoin, dell’intelligenza artificiale ed è il ruolo dell’uomo e con ancora maggiore premura dell’uomo che si sta formando e che deve cominciare a prendere in mano il futuro dell’umanità, sia esso un grande leader mondiale o con la stessa preoccupazione una persona che vuole semplicemente vivere in maniera normale la propria vita circondata da chi le è caro.

Tutto questo, spazzato via, polverizzato, calpestato, assume nel libro di Franzesca Sante e nella realtà il ruolo della rovina, una rovina che non può essere sostituita ma nemmeno ammansita da antipsicotici, tranquillanti o antidepressivi. Questa autrice ha saputo svelare una tragedia a cui tutti ogni giorno assistiamo, è un grido di allarme e probabilmente di richiesta di aiuto ben maggiore rispetto a quanto letto in molti libri. Sapremo ascoltarlo o ancora ci volteremo dall’altra parte?

Vorrei la vita del più vecchio dei miei genitori
non delle mamme single
dei lavoratori freelance
vorrei dei figli, amarli
non avere tempo per loro
vedere come il senso si costruisce nelle loro menti

quando ero piccola dicevano che io vivevo a Venezia, allora io ero convinta che
casa mia, cioè solo casa mia fosse Venezia e quando mi chiedevano dove abitassi
io dicevo a Venezia. Via Venezia, numero Venezia. E quello che c’era fuori non lo so
come si chiamava, non era un problema, non me lo chiedevo. […]

Franzesca Sante, 22.2.22, Howphelia 2022.