L’illusione
camaleontica
dei “populisti di sinistra”
Nella letteratura degli ultimi anni ha riscosso una notevole fortuna la riflessione di Ernesto Laclau attorno alla ragione populista. In molti ambienti della sinistra europea la sua ricetta di un populismo radicale ha suscitato interesse e anche delle esplicite riprese politiche. C’è da dire che la figura di Laclau come “peronista di sinistra” non è una espressione inusuale nel panorama della cultura politica argentina. Al contrario, si tratta di esemplari intellettuali piuttosto diffusi che appartengono a una vera e propria tradizione che vanta alcuni decenni di storia e di elaborazione alle spalle.
L’editore Castelvecchi ha appena dato alle stampe un breve saggio di un peronista di sinistra, Horacio Gonzàles, intitolato emblematicamente Il nostro Gramsci (pagg.102, euro 13,50) ed uscito nella sua prima versione nel 1971. L’ampia introduzione di Pasquale Serra che lo accompagna fornisce dettagliate indicazioni sulle variegate correnti del peronismo argentino e sulla consistente ricezione dei Quaderni gramsciani nel tentativo di formulare una variante nazionale-popolare di rivoluzione guidata dal caudillo.
Forzature del pensiero gramsciano
Colpisce nel saggio tradotto il richiamo alle nozioni gramsciane di egemonia, di nazional-popolare entro una cornice politica che appunto esalta in maniera enfatica “il Nostro Vecchio Generale in Battaglia” ossia Peron quale artefice di un processo di emancipazione che ha coinvolto i ceti rurali appena mobilitati nelle fasi convulse di modernizzazione e urbanizzazione. A sostegno della causa politico-militare peronista Gonzàles sviluppa una polemica alquanto aggressiva contro il Gramsci “socialdemocratico”, riformista, parlamentarista del Pci togliattiano, il Gramsci scienziato sociale proposto da A. Pizzorno (“sociologo pedante e antiperonista” che in una sua genealogia assimila i Quaderni alle categorie riconducibili a Durkheim), il Gramsci dei linguisti e dei teorici dell’estetica, il Gramsci dei consigli e del movimentismo sindacale, insomma se la prende con ogni immagine di Gramsci proposto dalla “oppressiva geometria del pensiero di sinistra”.
Naturalmente una declinazione del pensiero di Gramsci in termini di peronismo o di populismo di sinistra mostra ben scarsi agganci filologici con i testi anche accettando il presupposto che le vie “della traduzione” sono infinite. E però anche questo recupero eccentrico dal punto di vista ermeneutico avvenuto in Argentina rivela la complessità e la ricchezza della produzione teorica dei Quaderni che è stata suscettibile di impieghi, forzature per inventare una tradizione politica. Il contrario di quanto impongono adesso le fondazioni di ricerca che portano il nome di Gramsci, e, denuncia Serra, addormentano un pensiero critico entro una impresa divenuta solamente filologica che intende cioè fare del teorico sardo un puro e semplice classico da tenere ben lontano dal presente e da un progetto di trasformazione.
Istruttivo è anche quanto accaduto nella parabola della cultura argentina e latinoamericana che, nel corso di alcuni decenni, passa da una infatuazione per il populismo, come via nazionale di modernizzazione ed emancipazione dei ceti rurali immigrati affidata alla grande sintesi del capo carismatico (Gramsci+Peròn), all’approdo verso prospettive liberaldemocratiche che sollecitano la rimozione delle illusioni peroniste e lamentano gli elevati costi istituzionali del populismo-regime cui reagire solo con la scoperta del proceduralismo liberale.
Il ritorno al senile rifugio liberale
Il problema cruciale e originario del populismo di sinistra risiede nel disegno di rinunciare all’autonomia politica del socialismo, considerata di per sé una costruzione impossibile in situazioni difficili e minoritarie, per giocare entro il peronismo letto come un movimento popolare di massa con ascendenze romantiche e adatto a fungere da cornice unitaria delle più svariate correnti e arcipelaghi di idee e interessi. La soluzione camaleontica, di situarsi entro una casa accogliente e composita, che oscilla secondo il pendolo che va da suggestioni di segno autoritario e impulsi di puro ribellismo, non ha dato i frutti sperati e l’Argentina, sprovvista dei partiti di integrazione di classe, non ha stabilizzato sistemi sociali e politici. E per questo tra gli intellettuali che sono transitati nei lidi del “peronismo gramsciano” abbondano le palinodie che conducono in tanti dal primitivo populismo come grido di battaglia al senile rifugio liberale e neocontrattualista.
Il nodo è però che, per chi guarda al movimento operaio, accantonare l’autonomia politica non paga perché fragile si rivela la prospettiva di una izquierda peronista che coltiva suggestioni per un caudillo che avanza con miti comunitari-nazionali e nelle sue ideologie totalizzanti trascura il pluralismo, lo Stato di diritto, i limiti del potere, la rappresentanza, il conflitto di classe. Come compito di un pensiero critico situato nel tempo presente, Serra riprende le parole di Tronti il quale avverte che dopo il movimento operaio il ruolo di chi non intende lasciarsi catturare dalla congiuntura dell’omologazione “consiste nel conquistare, conservare, raffinare l’autonomia del proprio punto di vista”. Autonomia, dunque, contro le sirene del populismo come spoliticizzazione del conflitto e la saggezza del liberalismo come neutralizzazione delle alternative.
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