L’identità del Pd
e la battaglia
per la guida del Paese

Il voto europeo ha per ora risolto, a vantaggio del Pd, la prima battaglia, quella per decidere sul campo chi deve esibire i galloni per guidare l’alternativa alla destra. Gli elettori hanno fatto saltare i calcoli della grande stampa, che avrebbe preferito giocare le carte dell’influenza in una polarizzazione tra M5S e Lega.

All’idea secondo cui la coalizione gialloverde è il destino, perché esprime il governo ma anche l’opposizione a se stessa, il voto ha risposto che anche in un’età di finzioni, di manipolazioni, di fughe assurde non è consentito ricoprire posizioni contraddittorie in commedia. E quindi ha stabilito che se il centro destra è solo un detrito che si riduce al corpaccione di Salvini che ha divorato ogni cosa, a dare sfogo all’umore di chi si oppone al populismo non può essere un suo alleato smarrito, come il M5S.

Con il voto al Pd, una parte del corpo elettorale ha rivendicato il diritto di decidere in proprio a chi affidare l’opposizione. E di non cedere così alle scelte editoriali dei giornali più influenti che intendevano convincere il pubblico disorientato che l’alternativa al regime gialloverde non andava inventata, esisteva già, e proprio dentro il regime, come una sua costola ribelle.

La favola di una polarizzazione tra il capitano e il capo politico non ha però incantato. E la fuga dal M5S di sei milioni e 200 mila voti, ha rovinato la copertura della politica confezionata dai media. Il voto ha dissolto l’equivoco M5S e ha conferito un mandato politico al Pd. Alla forza più solida sono andati i voti per proteggersi in prossimità di un pericolo percepito come imminente per la tenuta democratica.

Gli analisti dei flussi riscontrano questa composizione dell’elettorato Pd: il 40% lo ha votato per contrastare l’avanzata del populismo, il 29% lo ha scelto per fermare il leader della Lega, il 31% lo ha premiato per costruire un nuovo centrosinistra. Su queste basi, il Pd ha inghiottito anche il voto della sinistra più radicale.

L’irrilevanza delle sigle elettorali alla sua sinistra, non dovrebbe significare per il Pd la rincorsa dei moderati in una prospettiva liberaldemocratica. Secondo la registrazione dei flussi, nel nuovo voto al Pd è più rilevante la componente di sinistra che cresce a discapito di quella centrista. Per attrezzarsi alla seconda battaglia, quella per guida del paese, che potrebbe avvicinarsi vista la difficile tenuta del governo, il Pd deve sciogliere i suoi nodi identitari originari, e al tempo stesso disegnare ampie coalizioni che a livello amministrativo hanno reso già competitiva l’opposizione.