Libertà e responsabilità: questa è la regola della montagna
Un grande alpinista del passato, una grande persona, Cesare Maestri, diceva in modo assai brusco: “In montagna andate come volete. Basta che non rompiate le scatole agli altri”. Lo diceva lui, che, essendo un fuoriclasse della arrampicata, aveva compiuto decine e decine di salvataggi e purtroppo, tante volte era salito in parete per recuperare cadaveri di amici caduti e rimasti appesi nel vuoto ad un filo di corda. Immagine terribile. Ma anche questa è la montagna. Lo ha raccontato nei suoi libri.

Ho ricordato queste parole, parole che richiamano libertà, ma che suonano anche terribili, dure, brutali, ripensando alla tragedia della Marmolada e al coraggio, alle fatiche, ai rischi di chi è chiamato ad aiutare i superstiti, a cercare uomini e donne che magari ancora respiravano, a raccogliere e a comporre resti.
Una parente, intervistata da un quotidiano, contestava la decisione di sospendere a un certo punto le ricerche dei dispersi. Il suo dolore e la sua angoscia li si deve riconoscere e rispettare. Ma non si può immaginare di aggiungere morti ai morti. Chi era lì a soccorrere in quelle condizioni rischiava di unirsi alle vittime del ghiaccio, travolto lui pure. Spesso è accaduto.
Il caso della funivia del Monte Bianco
Anni fa una navicella della funivia del Monte Bianco rimase bloccata e sospesa nel vuoto ad una considerevole altezza nel tratto che va da Punta Helbronner alla Aiguille du Midi. Tutti vennero alla fine salvati, ma qualcuno prima degli altri e alcuni dovettero trascorrere la notte lassù, comunque al riparo e comunque rifocillati. Il buio aveva costretto gli elicotteri a rimanere a terra e aveva fermato guide e soccorritori. Bisogna immaginare come si era proceduto alla luce del sole: un elicottero in volo, che oscilla ad ogni colpo di vento, un uomo che si cala appeso a una fune, le manovre, il recupero. La scelta di fermarsi fu dettata da una evidente ragione di sicurezza. Perché aggiungere altri azzardi, perché rischiare ancora, quando tutto poteva finire in pace (come è accaduto), se pure con qualche sofferenza e qualche ora in più.
Ieri Strisciarossa ha pubblicato un lungo, interessante, documentato articolo di Ugo Leone, che a partire dalla Marmolada ragionava a proposito di mutazioni climatiche e delle loro possibili conseguenze, il ritiro dei ghiacciai fino alla sparizione tra queste… (la Mer de glace, gruppo ancora del Monte Bianco, si è ritirata di 750 metri nel giro di quindici anni), ragionava delle pessime politiche tutte umane. Ugo Leone, proprio nell’esordio dedicato alla tragedia trentina, concludeva, richiamandosi alle figure di quei poveri morti: “Purtroppo non sapevano perché credo che nessuno glielo avesse detto che salendo salendo avrebbero trovato una temperatura al di sopra dello zero…”. Un altro parente ha domandato con il tono della denuncia: “Perché non li hanno fermati?”
Strumenti sofisticati
Per esperienza so che quando si va in montagna si dovrebbero leggere le previsioni del tempo (ricordo la coda davanti alla farmacia di Chamonix che le esponeva in vetrina) e nelle previsioni del tempo è sempre indicata l’isoterma zero gradi, la linea ideale, una media, al di sopra della quale il ghiaccio o la neve non si dovrebbero sciogliere. Una volta ci si rivolgeva ai consigli delle guide, ai colori del tramonto, alla chiarezza della notte. Sul Monte Bianco era il “pesce”, una nuvola grigia dalla forma allungata, che si stendeva lungo la calotta della cima, a mettere in allarme. Oggi le conoscenze sono ben altre e gli strumenti ben più efficaci: un cellulare di numeri ce ne inoltra una infinità, dal sito più semplice e accattivante con disegnini di sole e nubi o da quello più specializzato.
In vetta alla Marmolada (3343 metri) la temperatura segnalata era di dieci gradi: un tepore da godersi seduti su una sedia a sdraio. Dove arrivasse la nostra isoterma zero gradi non so: quattromila metri, cinquemila? Ho letto seimila. Il caldo lo sentiamo: da quante settimane in città lo stiamo soffrendo.
Le passioni si rispettano, anche se sono spesso interessi poco nobili e molto commerciali ad alimentarle, anche se finiscono nella casella delle “mode”. Gli impianti di risalita hanno cancellato molte voci di “selezione naturale”: una volta si saliva soltanto a piedi e con fatica, non tutti ce la facevano. Adesso si può scendere su un ghiacciaio senza aver calpestato un sasso e un centimetro di neve. Ma anche le passioni più generose dovrebbero sottostare ad un principio di responsabilità, per rispetto di se stessi e di quanti, per una imprudenza nostra, chiamiamo in causa. Non mi pare bello ambire ad una sorta di stato di polizia “alpina” che controlla ogni valle, che tutto regola, che consente o vieta. Siamo noi a dover decidere, a dover decidere tra un sentiero nel bosco e una camminata sotto un seracco.
Reinhold Messner, tante volte citato in questi giorni, scrisse un libro autobiografico (molto bello) e lo intitolò, ispirandosi a un verso di Hölderlin, “La libertà di andare dove voglio”. Non mi risulta che qualcuno sia mai corso a trarre d’impaccio Messner.
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