Liberazione, Meloni distorce la storia e Mattarella le dà lezione di antifascismo

Proprio non ce la fa. A considerare la lettera di Giorgia Meloni imbucata al devoto Corriere della Sera, verrebbe da concludere che proprio non ce la fa: per capire servirebbero gli strumenti non solo del politologo e dello storico ma anche dello psicoanalista, che, magari coadiuvato dalle indagini attente di un filologo, ci spiegasse perché non ce la fa, perché si arrampica sugli specchi, perché mistifica, falsifica, confonde, rinunciando alla possibilità di mettere in piedi al posto di un pantano reazionario una seria destra conservatrice, sull’esempio di quanto è avvenuto altrove, in Francia, in Germania, negli Usa (dimentichiamoci di Trump e magari pure di Biden), sull’onda di quell’entusiasmo (assai minoritario) che ancora la sospinge e della benevolenza di giornali e giornaletti.

Niente. Giorgia non indietreggia, non cede, neppure la fiamma neofascista adottata per il Msi dei reduci di Salò dal fascistissimo Almirante (a Salò capo di gabinetto del ministero della cultura popolare) riesce a mettere da parte, quando basterebbe affidarsi a un bravo grafico per modernizzarsi un po’. Lo ha confessato: le piange il cuore togliere di mezzo quel vecchio arnese.

La lettera al Corriere della Sera

Mattarella, Meloni, La Russa e Fontana il 25 Aprile all'Altare della Patria
Mattarella, Meloni, La Russa e Fontana il 25 Aprile all’Altare della Patria

Giorgia però non può non ascoltare o non leggere le parole nette, chiare, orgogliose del presidente Mattarella, punti fermi contro la confusione, contro la riscrittura della storia, contro le stupidaggini elargite, “sdoganate”, di questi tempi.

“Noi figli della Resistenza” (Corriere), “Figli della Resistenza” (Repubblica), “L’Italia è antifascista” (La Stampa): “La Repubblica – scandirà Mattarella – è fondata sulla Costituzione, è figlia della lotta antifascista”.
Giorgia si sarà annotata i nomi di Piero Calamandrei, di Duccio Galimberti (l’avvocato di Cuneo, azionista, il partigiano, torturato fino alla morte dai fascisti), di Nuto Revelli, di don Giuseppe Bernardi e di don Mario Ghibaudo (sacerdoti trucidati dai nazisti a Boves), di Concetto Marchesi (il latinista, il comunista, che invitò i suoi universitari alla rivolta), ricordati tutti dal Presidente Mattarella, ma tace. “Tignosa” la definiva ieri sul Fatto Antonio Padellaro. Tignosa, dura, sorda… di questo passo si finirebbe per giudicarla tanto ottusa quanto irremovibile di fronte alla possibilità di imboccare una strada nuova per questo Paese (scusate: “Nazione”), di destra, ma nuova. Dovrebbe subito però tagliare i ponti, dire “antifascista”, cacciare qualche nostalgico, quello che non rinuncia al saluto romano, quello che conserva gelosamente il busto di Mussolini, quello che rende onore al generale Graziani, criminale di guerra, quello che in camicia nera non diserta il pellegrinaggio a Predappio…

Per lei il 25 Aprile è un tormento

Possiamo immaginare quale tormento rappresenti per lei il 25 Aprile, un inferno. Qualcuno le avrà suggerito la letterina in questione. Senza convinzione s’è piegata. Ma non ha rinunciato a dire la sua, cioè a non dire le cose come stanno e come stavano e a raccontarla a modo suo. Daniela Padoan sulla Stampa approssimava un elenco delle “dimenticanze”: le origini violente del fascismo, la cancellazione della democrazia, gli assassini politici (Matteotti, Gramsci, i fratelli Carlo e Nello Rosselli e tanti altri ancora), le deportazioni, i processi sommari, le guerre coloniali, il razzismo (ricordiamo “Faccetta nera…”), le bombe all’iprite, le leggi razziali, l’entrata in guerra, la repubblica di Salò, la morte e la fame per migliaia di italiani…

Il fascismo fornì un modello agli stati totalitari della sua epoca. Ma non ci si può fermare a quella storia: perché, ben più vicina a noi, è la storia di piazza Fontana, di Piazza della Loggia, della stazione di Bologna, dell’Italicus, della P2… Il riferimento a Fiuggi 1995 (quando è nata Alleanza nazionale) è fragile: Fini l’ha scavalcata a sinistra.

Giorgia continua per la sua strada e riesce a scrivere, ad esempio, che la Costituzione aveva preso le mosse da un “paziente negoziato volto a definire princìpi e regole della nostra nascente democrazia liberale”, ma che tale esito non sarebbe stato “unanimemente auspicato da tutte le componenti della Resistenza…”. Forse Giorgia ignora che la carta fu opera di democristiani, liberali, azionisti e… comunisti. Punzecchia, insinua, distorce… Togliatti insomma, mentre partecipava alla stesura della Costituzione, avrebbe benedetto l’arrivo dell’Armata rossa, salvo concedere l’amnistia – come Giorgia attesta – ai fascisti superstiti?

Ma è nello stile: un po’ riconosce, poi ribalta, deforma, contrappone, piega le vicende alla propria convenienza: il 25 Aprile “non segnò anche la fine della sanguinosa guerra civile che aveva lacerato il popolo italiano…” come se una guerra di liberazione dai nazifascisti si possa ridurre ad uno scontro tra fazioni nazionali; “mentre quel giorno milioni di italiani tornarono ad assaporare la libertà, per centinaia di migliaia di nostri connazionali di Istria, Fiume e Dalmazia iniziò invece una seconda ondata di eccidi e il dramma dell’esodo dalle loro terre”, come se gli abitanti di quelle terre, italiani o sloveni, non avessero conosciuto l’occupazione fascista, la barbarie fascista, la pulizia etnica messa in atto dai fascisti e tutto il resto che ne conseguì…

Le troppe amnesie e deformazioni della presidente del Consiglio

“La categoria del fascismo” diventa per Giorgia “strumento di delegittimazione di qualsiasi avversario politico: una sorta di arma di esclusione di massa…”, come se l’esclusione di massa non avesse una ragione nella vicinanza del Msi con personaggi del fascismo storico o con quei gruppi neofascisti o neonazisti che si chiamano o si chiamavano Ordine nuovo, Forza nuova, Casa Pound, LealtàAzione. In epoca di covid ci fu tra loro chi organizzò manifestazione no-vax e chi condusse l’assalto alla sede della Cgil a Roma. Tanto per dare il segno della loro cultura democratica. Eppure per Giorgia Meloni sono serbatoi di voti… Ma tale atteggiamento, cioè l’esclusione di massa, è stato “talmente strumentale che negli anni, durante le celebrazioni, ha portato perfino a inaccettabili episodi di intolleranza come quelli troppe volte perpetrati ai danni della Brigata ebraica da parte di gruppi estremisti”, senza considerare l’isolamento di quei gruppi, poche decine di persone in un corteo di migliaia di antifascisti, senza rispetto per la scelta antifascista della Brigata ebraica, in lotta al fianco dei partigiani…

Giorgia Meloni sembra riuscita nell’impresa di mettere assieme una buona dose di banalità e di ipocrisie, di dimenticanze e di surreali interpretazioni: un pastrocchio opportunistico che pure è piaciuto a una parte del suo pubblico (e non solo: anche dal “centro” sono giunti apprezzamenti), un pastrocchio che lascia le cose come prima. Poi si vedrà nella politica e il primo passo lo si verificherà il Primo Maggio, la festa dei lavoratori, data selezionata con cura provocatoria, evidentemente, per fissare qualche nuova regola per il lavoro, a cominciare da quelle che ne accentuano la precarietà. Sarà un passaggio, non sarà determinante, ma sarà un passaggio che aiuterà a capire quale sia il rapporto del capo del governo con la Costituzione antifascista, che all’articolo uno afferma che l’Italia è un Repubblica fondata sul lavoro e che nel suo profilo generale – lo ha richiamato il Presidente Mattarella – disegna uno Stato che fa propria “la causa della giustizia sociale come concreta espressione del bene comune, per rimuovere gli ostacoli al pieno sviluppo di ogni persona umana, per rendere sostanziale l’uguaglianza tra i cittadini”.

Ulteriore ammonimento di Mattarella: “Onorano lo Stato quanti non si sottraggono a concorrere alle spese pubbliche secondo la propria capacità contributiva, il popolo del volontariato che spende parte del proprio tempo per aiutare chi ne ha bisogno, i tanti giovani che, nel rispetto degli altri si impegnano per la difesa dell’ambiente…”. Parla di tasse il Presidente e colpisce Giorgia e molti del suo elettorato. Così come quando cita giustizia sociale, eguaglianza, bene comune, solidarietà, ideali fissati nella Costituzione. Ma l’antifascismo è questo: quei valori che dovrebbero guidare qualsiasi azione, perché la Costituzione sia un concreto progetto di governo, un progetto per il progresso da perseguire e realizzare giorno per giorno… Per questo, e non solo per la negazione esplicita di un tragico passato che ancora evidentemente le appartiene, a Giorgia riesce impossibile pronunciare la parola “antifascismo”.