Quegli 8 scout di S. Nicola Arcella che aiutano la Caritas di Colle Oppio
Ogni giorno alle mense Caritas di Roma serve tanto personale. Qualcuno all’ingresso accoglie gli ospiti, controlla loro la temperatura corporea, poi passa alle tessere, per verificare se sono scadute, durano quasi tutte due giorni. Qualcun altro, a quel punto, le rinnova e le registra. C’è poi chi sta in sala a servire, chi in cucina. Si inizia alle dieci di mattina e si finisce verso le due del pomeriggio. Si servono in media sui 500 – 600 pasti a mensa.
Quella svolta dai volontari è un’attività incalcolabile, fanno il possibile per mettere a proprio agio gli ospiti, con i quali provano a scambiare qualche parola, dispensando sorrisi.
La scorsa settimana, alla mensa Giovanni Paolo II di Colle Oppio a Roma, sono arrivati rinforzi, anche se solo per un giorno: giovani volontari provenienti da San Nicola Arcella, otto scout del Clan Arco di Enea, hanno fatto questa nuova esperienza, per nulla scontata né facile.
Tante vite, tanti racconti
I ragazzi hanno rilevato, quindi, che in quella giornata sono arrivati in prevalenza giovani maschi, tra i 30 e i 50 anni, stranieri, soprattutto africani e ispanici, ma anche genitori con figli piccoli, italiani dipendenti da alcool o droga, alcuni artisti di strada arrivati da poco nella capitale, che dipingono o suonano in giro, anziani soli, senza fissa dimora.
Qualcuno di loro ha interagito, raccontando particolari della propria vita, come una donna peruviana, da 5 mesi in Italia, un nigeriano mandato qui ancora piccolo dalla famiglia, un afroamericano, che ha consigliato ai ragazzi di fare sempre di testa propria. Non sono mancate le persone stravaganti: chi ha millantato di essere il compagno di banco di Renato Zero, chi ha affermato di avere 300 anni di età, di essere stato finora su Venere e di essere diretto verso Giove. Altri, la maggior parte, non hanno parlato, hanno pranzato in silenzio, al massimo hanno scambiato qualche parola col commensale e, una volta finito, si sono persi nei meandri della città. Per ritornare, forse, all’indomani.
Un’esperienza difficile
“Ora posso dire che è stata un’esperienza difficile. Tutte insieme, ho visto povertà, solitudine, sofferenza. Persone alle quali nella vita qualcosa è andato storto, e non sempre per responsabilità personale. Quando ci affrettiamo a dare giudizi sugli altri, dovremmo fermarci un attimo a riflettere. – ha detto una giovane scout – Tra gli ospiti della mensa ho visto tanta solidarietà, si supportano a vicenda, eppure non hanno niente o hanno molto poco. E poi c’è pure tanta dignità, in alcuni casi riservatezza, come nel papà che chiedeva al suo bambino di non parlare con noi”. La volontà di non raccontarsi è una maniera come un’altra per proteggersi dal giudizio altrui, e forse anche dal proprio.
“Sono poveri, vero, mangiano alla mensa Caritas, chissà se hanno una casa, ma ci sono sembrati così ricchi di umanità! – fa un’altra volontaria – Per noi è stata una lezione di vita che non dimenticheremo. Siamo tornati nelle nostre case, nelle nostre famiglie un po’ più tristi di prima, ma consapevoli delle ricchezze che possediamo senza rendercene conto e dell’immenso contributo che danno i volontari alla causa degli ultimi e degli invisibili”.
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