Leonardo e il suo blog, dalla parte
dei minori non accompagnati
Quasi quotidianamente, ci arrivano immagini e notizie di bambini fuggiti dalle guerre o dalla fame, confinati nei lager libici o nei campi profughi, arrivati in Italia coi barconi o altri mezzi, finiti nei centri di accoglienza o sulla strada. Dietro le loro storie ci sono incontri dolorosi, ma spesso anche fortunati. Capita di incrociare adulti che la violenza non sanno nemmeno dove sta di casa, pronti come sono a dedicare parte della propria vita a chi è stato meno favorito dal destino. Leonardo Cavaliere è uno di questi, ha quarant’anni e da circa venti si occupa di minori non accompagnati. L’interesse gli venne ai tempi dell’università: a Bologna, durante una lezione del corso di Sociologia della devianza, il prof. Melossi, autore con Monia Giovannetti del saggio I nuovi sciuscià, presentò agli studenti una realtà a molti di loro ancora sconosciuta.
Leonardo ne venne talmente toccato che decise di farne l’oggetto della sua tesi di laurea in Giurisprudenza, ma si imbattè da subito nella difficoltà di reperire materiale. Ciò lo indusse a rivolgersi ai Dehoniani, dove erano ospiti ragazzi provenienti soprattutto da Afghanistan, Pakistan, Albania, Romania, Bangladesh.
Una partita di calcio per cominciare
“All’inizio, non fu semplice conquistare la loro fiducia; – ci racconta oggi Leonardo – ci riuscii organizzando una partita di calcio, così piano piano iniziammo a entrare in confidenza, vi ritornai molte volte, il lavoro di ricerca durò in totale sei mesi”. All’epoca, la rete non era quella di oggi, per attingere informazioni occorreva reperire studi o libri esteri, non esistevano i social e, di conseguenza, anche i contatti con persone dallo stesso interesse erano quasi impossibili.
Proprio per ovviare a questi inconvenienti e, nello stesso tempo avere e offrire un quadro reale e oggettivo della questione, decise di aprire un blog ancora oggi attivo, consultato da utenti di tutto il mondo, il primo nel suo genere.
Dati da studiare
“A me interessano i dati oggettivi, non perché consideri i ragazzi in questione meri numeri, al contrario. Mi servono per analizzare scientificamente il fenomeno, evitando pregiudizi, allarmismi, approssimazione”, ci spiega. Al blog, tra gli altri, fanno riferimento studiosi dei fenomeni migratori, associazioni, enti, studenti e borsisti, e Leonardo Cavaliere, quando è richiesto, offre la sua consulenza, tiene lezioni nelle università, incontra studenti e ricercatori, collabora con progetti europei o internazionali, come, ad esempio, la campagna globale contro la detenzione dei minori per immigrazione, la End child detention, sostenuta anche dalle Nazioni Unite, da Unhcr, Unicef, Caritas. Non esistono cifre esatte in questo caso, ma sappiamo che in Europa o negli Usa, nel 2015 come anno di riferimento, ancora molti bambini erano detenuti semplicemente perché immigrati, in barba alla Convenzione sui diritti dei minori.
“Minorenni guardati con diffidenza e pregiudizio”
“Quello che ho visto nel Cie (ndr, Centro di identificazione ed espulsione) o nel Cara (Centro di accoglienza per richiedenti asilo) di Roma vorrei dimenticarlo, se potessi. Eppure, dal 2017 esiste la Legge 47, che prova a disciplinare una materia complessa e delicata, quale è quella dei minori stranieri non accompagnati, soggetti oltremodo vulnerabili, che necessitano di tutele e garanzie”.
Secondo Leonardo Cavaliere, un esempio virtuoso in questo campo è Acquaformosa, comune arbereshe in provincia di Cosenza, che da anni accoglie anche minori non accompagnati. E sottolinea, non senza dispiacere e preoccupazione, quanto sia modificato l’atteggiamento degli italiani nei confronti di questi soggetti: se prima esistevano sacche di resistenza verso gli adulti immigrati, adesso anche i minorenni stranieri sono visti con diffidenza e pregiudizio.
La violenza sul blog
Lo registra quasi quotidianamente con alcuni commenti al vetriolo scritti nel suo blog o sulla sua pagina facebook, parole di una violenza inaudita e impensabile prima. “Quando incontro gli studenti, cerco di capire la loro percezione del fenomeno e, se mi accorgo che lo leggono in chiave di pericolo sociale, faccio loro questo esempio: nei momenti in cui l’emergenza rifugiati in Italia era al massimo livello, tutti quanti insieme avrebbero riempito uno stadio un po’ più grande dell’Olimpico di Roma”, dice sorridendo Leonardo, raccontandoci soddisfatto anche di piccole, grandi vittorie di questi ragazzi, come quella conseguita da Mohamed Keita, fuggito giovanissimo dalla Costa d’Avorio, approdato a Roma dopo numerose peripezie, oggi fotografo affermato a livello mondiale.
Gli ho chiesto di raccontarmi qualche storia particolare, di quelle che ti rimangono addosso. Tra le tante, egualmente drammatiche e belle, ha scelto quelle di due ragazzi, uno afghano, l’altro nigeriano, incontrati vent’anni fa proprio dai Dehoniani a Bologna.
Durante il regime dei talebani, il piccolo afghano aveva solo 7 anni, quando la madre, sopravvissuta con lui all’uccisione del marito e del figlio maggiore, lo mise con qualche spicciolo in tasca su un autobus e gli disse: “Vai, parla il meno possibile, a Kabul cerca un altro autobus per il Pakistan e salvati”. Proveniente da una famiglia benestante e colta, – il padre, un militare, la madre, insegnante di inglese – come gli era stato ordinato, attraverso il Pakistan, era arrivato il Iran, qui finito in un campo di detenzione, in seguito fuggito e giunto a Teheran, quindi in Turchia, superando montagne innevate con calzari di lana ai piedi. Per pagarsi la traversata verso la Grecia, aveva lavorato in una fabbrichetta di tappeti.
Finalmente a Lesbo, dopo il naufragio del suo canotto, in cui avevano perso la vita due dei suoi tre compagni di viaggio, una donna li aveva visti in condizione disperate e li aveva portati a casa propria, rifocillandoli e dando loro dei soldi per arrivare ad Atene. Dopo altro tempo trascorso in Grecia, tra le ruote di un camion era ora in Italia e, fermato dalla polizia ferroviaria bolognese, era stato portato, per sua fortuna, nel centro dei religiosi. La vicenda del giovane nigeriano è altrettanto rocambolesca: rimasto orfano, era stato aiutato a fuggire dallo zio. Quindici giorni imbarcato dentro un container, al buio, con scarso cibo e poca acqua, era arrivato a Rotterdam, e poi in Austria, quindi in Italia.
Alla ricerca del riscatto
Questi pochi ma significativi particolari delle due storie in realtà sono il condensato di anni difficili, nei cui interstizi si è infilata gente di ogni risma, buona e cattiva. Il primo, un bambino di appena 7 anni, solo, in terre straniere, costretto a diventare adulto troppo in fretta, il secondo, che attraversa mezza Africa e il mare immenso e fa fatica a guardare la luce quando scende dalla nave dopo giorni e giorni al buio, sono indicativi di una realtà che va affrontata con rispetto e amore prima di ogni cosa, con le misure legali adeguate, poi.
Un riscatto, questi giovani, lo vogliono e lo meritano. L’afghano, ormai grande, vive e lavora in Norvegia, del nigeriano non abbiamo notizie. Sono vite, vere, non tracce di un film o di un romanzo. Ed è bello sapere che, anche grazie al blog di Leonardo, all’azione sua e a quella di molti altri, a loro vengono dati la visibilità, la dignità, la protezione, il futuro, di cui hanno pienamente diritto.
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