Le radici profonde
di mister Trump

Negli anni che corrono tra la conclusione della guerra ad Appomattox (9 aprile 1865, ndr) e la fine del diciannovesimo secolo, il popolo americano fu intento a sistemare metà del suo dominio continentale, a costruire una vastissima rete ferroviaria e ad imporre al mondo la crescente potenza derivantegli dalle risorse naturali del paese, dal carbone agli altri minerali, dal petrolio ai prodotti agricoli. In nessun altro periodo della storia nazionale la politica apparve altrettanto soggetta ai mutamenti economici, né la vita del Paese fu in così completa balìa degli imprenditori industriali. 

Gli industriali della nuova età dell’oro furono quali si può immaginare fossero uomini impegnati in grandi realizzazioni su vasti ed estesi territori, dove molte tentazioni si offrivano loro e ben poche limitazioni erano imposte. Furono uomini la maggior parte dei quali veniva su dal nulla, pieni di volgarità, ma anche di audacia eroica; abilissimi nel saper sfruttare le occasioni, energici, sagaci, aggressivi, insaziabili. Con la loro guida le ricchezze del paese aumentarono grandemente, poiché essi seppero cogliere ogni occasione favorevole; d’altra parte contribuirono anche allo sviluppo della corruzione: quell’epoca, insomma, fu caratterizzata in tutto dalla loro azione.

Lusinghe, audacia, cinismo furono gli strumenti che i grandi capitani dell’industria usarono negli affari e in politica, dimostrando di farsi beffe degli ideali della gente semplice che immaginava lo sviluppo della nazione in una forma pacata e dignitosa sotto il segno del liberismo, sfruttando gli operai e i contadini, corrompendo i parlamentari, comprando intere assemblee legislative, usando le minacce, l’intrigo, la forza e contro i concorrenti lo spionaggio. L’atmosfera morale creatasi in questo stato di cose fece dire a un ancora rispettabile conservatore della vecchia scuola come Edwin Lawrence Godkin: “Venni qui cinquant’anni fa pieno di ideali e ben disposto nei confronti dell’America. Ora essi hanno rovinato tutto, e mi pare di dover guardare altrove per nutrire ancora qualche modesta speranza circa il genere umano”.

Tuttavia, sarebbe un errore credere che questi grandi uomini d’affari fossero completamente sordi alla voce della coscienza; in realtà fu loro possibile agire direttamente nella politica e nel campo industriale con tanto ottimismo e illimitata ingordigia, perché essi avevano – in termini di un processo di estrema razionalizzazione atto ad acquietare la loro coscienza – le più plausibili e profonde ragioni di credere che quanto stavano facendo fosse tutto a fin di bene. Se potevano comprare i parlamentari senza nemmeno scusarsi di fronte a se stessi era perché li compravano – o pensavano di comprarli – a favore di una benefica trasformazione di enorme importanza

Dato che il significato durevole dei loro gesti sarebbe stato tanto grande e tanto buono, non era necessario che essi quotidianamente si affliggessero per le loro bricconerie. Che non fossero né umili, né in posizione di costante difesa, ma arroganti e sicuri di sé, lo dimostrò Collis P. Huntington, scrivendo a un uomo politico circa azioni poco pulite a profitto della Southern Pacific: “Se dovete pagare del denaro per avere una cosa ben fatta, è giusto ed equo farlo… Se un uomo può comportarsi molto male e non vuole agire bene a meno di non essere corrotto per farlo, io credo che il tempo speso per obbligarlo non sarà perduto, dal momento che è dovere dell’uomo farsi avanti, anche corrompendo il suo giudice. Chi biasimerà questi atti, non farà dunque altro che far ricadere il danno su se stesso. Quindi, se non vi fosse nessuno pronto a farlo, io non esiterei…”. 

Costui non era certo un ipocrita bacchettone; esprimeva soltanto la propria viva convinzione di avere ogni buon diritto di acquistarsi quanto riteneva gli spettasse ed è dubbio che molti magnati del suo tempo la pensassero diversamente. Immaginare poi che uomini siffatti non dormissero il sonno del giusto significherebbe senz’altro credere al più romantico sentimentalismo: nella nuova età dell’oro anche gli angeli cantavano per loro.

Pochi di loro erano puri e semplici speculatori, sfruttatori e pirati, mentre per la maggior parte si consideravano titani non soltanto della speculazione e degli affari, ma di un’epica potenza creatrice. Inoltre, dato che il loro successo non rispecchiava altro che le aspirazioni comuni, si sentirono meno soggetti a una condanna morale.

(Richard Hofstadter, “La tradizione politica americana”, 1948)