Chilometri di rocce dipinte
selfie dall’Amazzonia di 10 mila anni fa

Molto lontano da noi, sia dal punto di vista geografico che dal punto di vista del tempo, qualcuno, non lo sapremo mai chi, ha pensato (o forse è meglio dire hanno pensato, erano in tanti probabilmente) che la vita che vivevano valeva la pena, che la natura che li circondava era meravigliosa, che l’ambiente era affascinante, che la loro vita andava raccontata e resa immortale. Sino a un anno fa la grotta di Lascaux in Francia era considerata insieme con altri siti una delle più incredibile raffigurazioni di animali e esseri umani che ci è rimasta dell’epoca preistorica, si parla di 13-15.000 anni fa. Sino ad un anno fa perché un anno fa una spedizione archeologica colombiana-inglese ha scoperto un ciclo di affreschi rupestri nella foresta pluviale amazzonica (nella parte colombiana).

Ad un certo punto nella storia dell’umanità viene inventata la parola arte, poi le donne e gli uomini hanno utilizzato quella parola anche per designare delle opere realizzate da persone che non avevano idea di cosa fosse l’arte. O meglio la loro creatività, la loro abilità, la loro immaginazione, la loro fede li hanno spinti a rendere visibile il loro mondo attraverso le forme e i colori. Per rendere loro stessi e la natura intorno una testimonianza visiva della loro vita, del loro modo di vedere il mondo, di raccontarsi insomma e di lasciare un segno indelebile della loro presenza sulla terra. Anche se non lo pensavano neppure e non avevano idea di realizzare qualcosa del genere.

Non ha senso chiedere perché

E non serve nemmeno cercare di dare una spiegazione a che cosa volessero ottenere. Perché un bambino comincia a disegnare e disegna le cose, le persone, gli animali? Quelle donne e uomini che vivevano migliaia di anni fa hanno deciso che dovevano dipingere, affrescare delle grandi rocce che fossero visibili, dove rimanesse per loro (e senza pensarci per tutta l’umanità) un segno della loro presenza, della loro civiltà, della loro capacità di rappresentare e interpretare il mondo.

La scoperta è stata fatta un anno fa ma solo in questi giorni è stata resa nota. Tra l’altro i lavori per sistemare il sito sono stati finanziati dal Consiglio Europeo per la Ricerca e speriamo che ora non salti su qualcuno a sostenere che siano soldi buttati al vento andare a finanziare una ricerca archeologica in una foresta quasi irraggiungibile in Colombia per studiare una civiltà scomparsa da millenni.

E’ difficile per noi immaginare che nomadi cacciatori non siano rimasti impauriti davanti all’immensità della foresta amazzonica e alle incredibili varietà di piante e di animali selvaggi. Che abbiano deciso di vivere nelle foresta che noi riteniamo del tutto inospitale. Nel sito del British Museum dedicato allo scoperta si dice che “malgrado il nostro immaginario occidentale la colonizzazione e l’adattamento furono una delle grandi sfide che gli esseri umani hanno affrontato nel sub continente sudamericano. Il Progetto riguarda i primi gruppi umani che arrivarono in Amazzonia tra la fine del Pleistocene e il primo Olocene, cioè tra 8.000 e 13.000 anni fa.

Chilometri di rocce dipinte

Sin dal 2014 erano cominciati scavi nella zona. Finché gli ultimi tre anni di indagini  hanno portato ad una scoperta eccezionale. Chilometri di rocce dipinte con animali, piante, esseri umani, il mondo intero dipinto su quelle pareti. Immagini naturalistiche, ma anche simboliche, come noi oggi pensiamo. Una scoperta che cambierà la percezione della storia dell’umanità non solo in Amazzonia.”

Sempre nel sito del British Museum: “Il progetto nato nel 2018 dalla collaborazione delle Università di Antioquia, l’Università Nazionale di Colombia e l’ Università di Exeter in Gran Bretagna ha lo scopo di analizzare  le condizioni ambientali e culturali dell’insediamento a Serrania La Lindosa nel parco nazionale naturale della Sierra de Chiribiquete il parco nazionale di foresta pluviale più grande al mondo.

Studiando come si adattarono all’ambiente quegli esseri umani di allora si otterranno informazioni dagli scavi archeologici tradizionali  ma soprattutto dalle eccezionali rappresentazioni artistiche  legate  alle strutture mentali, sociali, simboliche e forse religiose di quelle popolazioni così legate al loro territorio.

Migliaia di animali, molti estinti, grandi, degli umani piccoli che li cacciano, e le piante, e la natura, con una tecnica raffinata di preparazione delle rocce ad accogliere i colori che in ambiente umido, piovoso sono sopravvissuto sino a noi. Era questo che volevano raccontare quelle persone che  guardavano avanti verso il futuro?