La voglia di austerity premia la destra in Finlandia

Dopo la Svezia, la Finlandia: l’Europa del nord vira a destra. L’analisi dei motivi che hanno portato anche gli abitanti del paese dei mille laghi, che le statistiche ci spacciano come il più “felice” tra quelli dell’Unione europea, con il più moderno sistema scolastico del mondo e un welfare da far invidia a tutti, non è semplicissima.

In realtà, le spiegazioni – iniziate sulla base dei sondaggi ancor prima che le urne fossero aperte – mettono più che altro l’accento su un fattore sospeso tra l’economia e la psicologia delle masse: molti finlandesi hanno avuto paura di cadere nel buco nero del debito pubblico, hanno pensato di dover difendere il mito del piccolo paese virtuoso che sa bastare a se stesso dall’incubo di politiche di spese insostenibili che è parso loro aver preso la mano non solo ai paesi “spreconi” del sud, ma anche ai responsabili delle istituzioni di Bruxelles. Una difesa nazionalistica di un idillio che in realtà non esiste nella realtà dei fatti giacché come tutti gli europei anche i finlandesi hanno largamente approfittato dei fondi dell’Unione, ma che ha connotato un po’ tutta la politica economico-finanziaria di Helsinki, schierata da molti anni sul fronte dei duri e puri delle politiche di bilancio anche quando alla guida del governo c’erano partiti paladini del welfare di stato e sinceramente – almeno a parole – europeisti.

Come in Svezia, poi, lo spostamento a destra dell’asse politico è stato determinato pesantemente dall’avanzata di un partito di estrema destra, quello dei Veri Finlandesi, che non è solo xenofobo ma anche contrario alle tasse e quindi agli “sprechi” di denaro pubblico a favore dei ceti popolari e massimamente, va da sé, degli stranieri.

Eppure i socialdemocratici aumentano i voti

Questa analisi delle ragioni del voto sembra trovare conferma nel modo in cui sono stati premiati o puniti i partiti. Paradossalmente i socialdemocratici non hanno perso voti, anzi li hanno addirittura aumentati di due punti percentuali, passando dal 17,8 al 19,9%, pur restando terzi dopo il Partito della Coalizione Nazionale, che nel parlamento europeo è nelle file del PPE ed è guidato da Petteri Orpo (che ha ottenuto il 20,8% dei voti e 48 seggi) e i Veri Finlandesi di Riikka Purra (20,1% e 46 seggi). Quello che ha determinato la sconfitta, pesante, di Sanna Marin non è stato un calo della sua forte popolarità, ma i salassi pesantissimi che hanno subìto i suoi alleati di governo, i Verdi, che hanno perso 7 seggi, i liberaldemocratici del Partito di Centro che ne hanno lasciati sul campo 8 mentre 5 sono mancati all’Alleanza di Sinistra.

Si tratta dei partiti che nell’azione di governo e nei programmi elettorali erano stati più propensi alle politiche espansive, alle spese sociali e ai grandi investimenti sulle politiche ambientali. Orpo, cui secondo la prassi verrà affidato l’incarico di formare il prossimo governo, è invece un classico rappresentante del rigorismo di bilancio nord- e centroeuropeo: sicuramente favorevole all’Unione ma convinto che l’Europa si debba fondare sul rispetto assoluto delle compatibilità finanziarie.

Un governo di centro destra-destra?

Sarà molto interessante, ora, vedere come il vincitore delle elezioni si orienterà nella scelta delle alleanze per formare il governo. Una dichiarazione un po’ sibillina rilasciata da Orpo qualche ora dopo il voto – “a destra non vedo estremisti” – potrebbe indurre a ipotizzare che cercherà un’alleanza con i Veri Finlandesi, i quali hanno già cominciato i soliti camuffamenti dell’estrema destra per nascondere gli istinti più regressivi e presentarsi in doppiopetto. Sarebbe un segnale politico nella direzione di quella Grande Alleanza tra i popolari e i sovranisti alla quale molti stanno lavorando, anche nel PPE, non senza contrasti, in vista di un rovesciamento degli equilibri politici nelle istituzioni di Bruxelles dopo le elezioni europee dell’anno prossimo.

Sarebbe uno sviluppo cui le destre europee, a cominciare da quella italiana, sarebbero ingenue a guardare con lo stesso favore con cui hanno accolto la svolta a destra della Svezia, perché porterebbe con sé il peso di una insolubile contraddizione: il sovranismo è per sua intima natura portato alle contrapposizioni tra i diversi paesi. Per rendersene conto dal punto di vista italiano, è evidente che la formazione di un governo ultrarigorista a Helsinki sarebbe un disastro per le prospettive auspicate dal governo di Roma di una riforma nel senso della moderazione del Patto di Stabilità. Per non parlare dell’immigrazione: i Veri Finlandesi al governo imporrebbero un blocco totale all’arrivo di altri stranieri e Helsinki si allineerebbe probabilmente con i paesi del gruppo di Visegrád nel rifiuto radicale di ogni possibile redistribuzione dei profughi arrivati in Italia. Paradossalmente, logica vorrebbe che Giorgia Meloni facesse il tifo perché a Helsinki si formi qualcosa come una große Koalition e non arrivino nelle stanze del potere quelli che le sono politicamente più vicini.

Le conseguenze dell’avventura di Putin in Ucraina

Contraddizioni in seno al sovranismo. E non sono le uniche. Mancano riscontri precisi nei sondaggi, ma tutto fa pensare che alle svolte d’opinione a destra dei paesi nordici, che stanno trasformando il Baltico in un lago su cui si affacciano paesi attraversati da evidenti impulsi nazionalistici, abbiano contribuito grandemente le insicurezze e le paure create dall’avventura militare della Russia di Putin. Un paese che ha 1300 chilometri di frontiera con l’inquietante vicino o condivide con esso acque e cieli non poteva assistere serenamente a una così prepotente prova di forza nei confronti d’un paese sovrano e vicino.

La Svezia, e ancor più la Finlandia, sono state portate a ripudiare politiche di neutralità che ne facevano esempi eloquenti della possibilità di costruire un’Europa dei diritti e delle libertà senza necessariamente schierarsi militarmente. La sussunzione dei due paesi alla NATO, che per quanto riguarda Helsinki si compirà ufficialmente proprio oggi, pare destinata a rinforzare la tendenza alla identificazione completa tra l’alleanza militare e quanto è stato già costruito e quanto resterebbe da costruire dell’Unione europea. Né dal punto di vista delle politiche economiche e del gioco degli interessi tra le due sponde dell’Atlantico né dal punto di vista della sicurezza parrebbe essere una buona prospettiva per gli europei. Un motivo in più per condannare l’impresa imperialista di Vladimir Putin.