Le giuste parole sulle donne sono meno giuste se vengono da Sanremo?

Quanti libri, articoli, convegni, corsi di formazione! Quanti anni, quanta fatica, quanto impegno per spiegare che stereotipi e pregiudizi, discriminazioni, sessismo insomma, non avrebbero vita tanto facile se un’educazione durata millenni non avesse convinto le donne che valgono di meno, possono di meno, riescono di meno … Il nemico interiore, il predatore interiore lo chiamiamo. Il meccanismo infernale e arcaico che ci portiamo dentro, presente nel fondo delle nostre coscienze e potente come la definizione ‘sesso debole’.

Poi arriva lei, Chiara Ferragni, di professione influencer (così chiamano, nella società dei consumi, le persone che fanno da modello, che hanno un seguito enorme). In mezz’ora riesce a raggiungere milioni di ragazze autolesioniste, di mogli picchiate, di madri ignorate, di lavoratrici sfruttate. Quelle che non abbiamo mai visto, che non ci conoscono, che manco sanno che esistiamo o che ci demonizzano (con questo ‘noi’ intendo riferirmi alla vasta e composita galassia femminista).

Linguaggio semplice

Lo fa con un linguaggio semplice che parte (o finge di partire, in televisione è lo stesso) da sé, suscitando identificazione, creando empatia. Dice che valiamo, possiamo, riusciamo, e non solo: porta con sé le voci e i volti delle donne dei centri antiviolenza, di cui la tv e di conseguenza l’Italia aveva sempre ignorato l’esistenza (il silenzio è il miglior alleato del sessismo). Reagire si può alla violenza, all’annichilimento, alla paura. Reagire insieme, creare reti, costruire solidarietà. Parlare.

Chiara Ferragni San Remo 2023Apriti cielo. Giornali e social si riempiono di commenti tremendi, sarcastici, impietosi. Non vanno bene il tono, le parole, il vestito, lo slogan; niente le viene risparmiato. Mai si era registrata altrettanta distruttività contro le presenze quotidiane di Palombelli o D’Urso o De Filippi, ma Sanremo è Sanremo anche per chi si vanta di non vederlo.

Banalizzazione, dicono. Forse, ma in una Rai appiattita da decenni sul modello berlusconiano che ha creato le veline e sfugge la complessità come la peste non si può fare altro.

Commercializzazione del suo brand? Certamente. È però strano lamentarsene sui social, in cui non siamo tutti che pedine di algoritmi commerciali. Strano quando si accetta supinamente che il racconto di ogni tragedia sia interrotto dai consigli per gli acquisti.

Copione? Come in ogni spettacolo, in cui fanno audience ma dopo un po’ stufano perfino i corpi dilaniati dalle bombe.

Anch’io sono frastornata e mi faccio tante domande: è lecito sognare un Paese diverso, un’educazione diversa, una cultura diversa, una tv diversa. Un mondo in cui magari le donne cerchino modelli in Simone De Beauvoir o in Carla Lonzi (chi erano costoro?).

Quando apro gli occhi mi rendo conto che la scuola è in mano a Valditara, la cultura a Sangiuliano, le pari opportunità (improvvidamente accoppiate a famiglia, ovviamente eterosessuale) a Roccella e che a capo del governo c’è una donna che si fa chiamare al maschile: non sono lì dopo un colpo di Stato ma perché hanno convinto la maggioranza dei e delle votanti.

Quanto accade a Sanremo mi pare allora perfino alternativo e la mia rabbia e la mia frustrazione trovano altri obiettivi. Purtroppo meno facili da contrastare.