Le ferrovie olandesi
risarciscono le vittime
dell’Olocausto
Per anni Salo Muller, 83 anni, figlio di ebrei uccisi ad Auschwitz, si è battuto per un risarcimento agli eredi da parte delle ferrovie dei Paesi Bassi (NS). Il gruppo guadagnò l’equivalente di 2 milioni e mezzo di oggi per il trasporto di centodiecimila olandesi ebrei, rom e sinti nel campo di transito nazista di Westerbork, nel Nord dei Paesi Bassi e, da lì, verso i luoghi di sterminio. Solo cinquemila persone tornarono. Per aiutare i tedeschi NS costruì un ramo ferroviario apposito che portava dalla linea Meppel-Groningen a Westerbork, che sarebbe stato liberato poi dalle truppe canadesi. Le ferrovie aiutarono gli occupanti affittando loro centinaio di vagoni passeggeri, vagoni merci e dozzine di locomotive. In termini netti la compagnia NS subì più perdite che guadagni essendo diventata subito un obiettivo per le azioni di sabotaggio della resistenza olandese e bombardamento degli alleati.
Nel 1945 la maggior parte dei ponti ferroviari era ormai distrutta e i treni danneggiati in modo irreparabile, ma per i tre anni precedenti NS, o perché costretta o perché accettava di collaborare, rientrò di fatto nella lunga lista dei fornitori dell’esercito di occupazione. Soltanto nel 2005 le ferrovie olandesi si scusarono per il ruolo che avevano svolto durante l’ occupazione, ma fecero sapere che un risarcimento era comunque escluso.
Battaglia vinta
Mercoledì scorso la prima parte della battaglia per il risarcimento condotta da Salomon (Salo) Barend Muller, nato ad Amsterdam nel 1936, ex fisioterapista e manager della squadra di calcio dell’Ajax è stata vinta. I sopravvissuti, meno di cinquecento, dovrebbero ricevere quindicimila euro, i loro eredi tra i settemilacinquecento e i cinquemila, secondo le prime stime. Si tratta di una decisione unilaterale della società che ha preferito evitare di andare in giudizio e ha accettato le argomentazioni di Muller anche per tutelare l’azienda con un gesto di giustizia.
La somma sarà anche minima rispetto al danno umano subìto, ma è comunque un precedente: i fornitori dell’Olocausto e di tutti i genocidi, anche quelli in atto, devono risarcire individualmente le vittime e le generazioni superstiti.
Finora le grandi compagnie tedesche, austriache, statunitensi e svizzere che furono tra i fornitori del genocidio (dai gas delle camere della morte, ai medicinali o mezzi di trasporto o cibo per le truppe) hanno seguito la linea delle pubbliche scuse e di un fondo di riparazione per i sopravvissuti. Nel 2000 il colosso svizzero Nestlé donò quattrodici milioni e mezzo di dollari per i sopravvissuti dell’Olocausto che avevano dovuto lavorare come schiavi. Emerse che Nestlé aveva finanziato in Svizzera nel 1939 il partito nazista. In seguito firmò un contratto per approvvigionare di cioccolata la Wehrmacht.
Una lista lunghissima
La lista dei fornitori è lunghissima. Hugo Boss era una delle numerose compagnie che produceva le divise delle SS. A metà degli anni Novanta si scusarono anche alcune aziende chimiche e farmaceutiche. Dopo la fine della guerra Bruno Tesch e Karl Weinbacher, della ditta chimica Tesch & Stabenow, furono messi sotto processo davanti a una corte marziale britannica e condannati a morte per aver fornito ai nazisti il gas pesticida Zyklon B da usare per uccidere i deportati. Gerhard Peters, che aveva lavorato come ufficiale operativo della società commerciale Degesch fece invece due anni di carcere. La filiera di un genocidio è lunga e fonte di guadagni.
Muller ha per anni instancabilmente insistito per un risarcimento individuale, che restituisse un nome alle vittime e ricostruito il vantaggio tratto dallo sterminio, decidendo di cominciare da un vagone ferroviario. Come quello in cui furono spinti sua madre Lena Blitz e suo padre Louis Muller, entrambi impiegati in una compagnia tessile. Lena, lasciando Solomon bambino all’asilo, quel giorno gli aveva detto “A stasera, ma fai il buono intanto”. Poco dopo, assieme al marito, sarebbe salita su uno dei treni per il campo di concentramento. Salo Muller l’ha sempre immaginata in quel viaggio verso Auschwitz, preceduto da una tratta su un treno olandese.
La commozione di Salomon
Il bambino venne nascosto in otto diversi indirizzi. Finita la guerra e lasciato il liceo, studiò da fisioterapista. Venne notato dall’assistente dell’Ajax e divenne non solo un esperto di movimento e riabilitazione, ma anche un coach nella comunicazione. Non parlò per molti anni della guerra, neppure in famiglia, neppure con la moglie i cui genitori erano a loro volta stati uccisi nel campo di sterminio di Sobibor. Ruppe il silenzio quando gli chiesero di raccontare le sue memorie in un film. In un primo momento rifiutò, poi iniziò a parlare. Fu allora che decise che qualcuno doveva pur iniziare a pagare per quell’ultimo viaggio di Lena e di altre centodiecimila persone. Quando mercoledì il portavoce delle ferrovie ha dato l’annuncio del risarcimento individuale, Salomon si è commosso.
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