Salvini e Le Pen fanno festa ma l’assalto sovranista è fallito

Una grande affermazione dei Verdi. Il fallimento del disegno dei sovranisti di rovesciare i rapporti politici nel parlamento europeo imprimendogli una drammatica deriva di destra. L’impresa del Rassemblement National di Marine Le Pen, che in Francia è riuscita a superare la formazione del presidente Emmanuel Macron e quella di Matteo Salvini in Italia, che ha superato il 30% saltando sul disastro dei suoi alleati-rivali pentastellati, più la tenuta, evidente in Ungheria, meno chiara in Polonia, del cosiddetto sistema di Visegrád, il risultato drogato in Gran Bretagna, con l’avanzata del Brexit party frutto della gran confusione che regna a Londra e ditorni hanno evitato che il fallimento apparisse clamoroso. Ma la sostanza è che l’obiettivo non è stato raggiunto. La stragrande maggioranza del futuro parlamento europeo sarà formata da partiti chiaramente europeisti. Lo sfondamento dell’Anti-Europa non c’è stato.

A sinistra, i risultati sono stati alterni. I partiti che si riconoscono nel GUE, il gruppo europeo della sinistra più radicale, hanno mantenuto più o meno le loro posizioni. Tra i Socialisti e democratici i francesi e i tedeschi della SPD, che sono stati relegati al terzo posto dall’avanzata dei Verdi, hanno subìto un tracollo forse ancora peggiore del disastro che tutti si aspettavano. Ma in Italia il PD è andato anche oltre l’entità della ripresa che la nuova stagione di Nicola Zingaretti aveva fatto presagire: ha superato i Cinquestelle, la cui crisi è apparsa drammaticamente evidente, e si pone come l’unica vera alternativa allo strapotere di una destra che si esprime con il 34 percento che è andato al partito di Salvini aprendo scenari di grande incertezza per il futuro del governo e del paese. Molto bene sono andati i socialisti spagnoli di Pedro Sanchez. I laburisti olandesi guidati dallo Spitzenkandidat dei socialisti Frans Timmermans e i socialisti danesi hanno riconquistato il primato che avevano perso, mentre in Svezia e in Finlandia le sinistre hanno consolidato le proprie posizioni.

Sul fronte moderato dei popolari l’evento più significativo è stato il crollo drammatico della CDU/CSU, che ha perso quasi l’otto per cento dei suoi voti proprio nel momento di un difficile passaggio di stagione con il lungo addio della cancelliera Angela Merkel. Fase d’incertezza che verrà accompagnata dal travaglio dei suoi alleati di governo della SPD, al cui interno, dopo la batosta elettorale, si farà strada, tra i dirigenti probabilmente e tra i militanti sicuramente, l’intenzione di farla finita con la große Koalitione che, per un parere quasi unanime, ha contribuito non poco alla perdita di consensi registrata negli ultimi mesi. In Austria i popolari del cancelliere Sebastian Kurz si sono fatti forti anche del disastro dei loro alleati d’estrema destra della FPÖ che loro stessi avevano voluto nel governo e il cui leader Heinz-Christian Strache ha messo nei guai facendosi sorprendere a combinare oscuri maneggi con i russi in una villa di Ibiza. In Grecia Nuova Democrazia, che nel parlamento europeo fa parte del PPE, ha superato Syriza di Alexis Tsipras e, almeno numericamente, vanno considerati deputati del gruppo popolare quelli che sono stati eletti in Ungheria nelle file del Fiodesz, il partito di Viktor Orbán e sui quali pesa la sospensione di giudizio adottata dal gruppo in merito alle richieste di espulsione avanzate dai partiti più attaccati alle radici democratiche e cristiane.

Sulla base degli exit poll e delle prime proiezioni, si è cominciato a delineare il quadro dei rapporti di forza nel nuovo parlamento e delle possibili alleanze. La maggioranza delle forze europeiste appare schiacciante e va aggiunto che non avrebbe i numeri l’ipotesi, più o meno apertamente evocata da Salvini (ma non si sa quanto condivisa dalla sua maggiore alleata Le Pen) di un’intesa della galassia sovranista con il gruppo popolare. Una vera e propria alleanza non dovrebbe avere i numeri e anche qualche forma di accordo su singoli dossier su cui ci sono convergenze, per esempio in tema di immigrazione o di diritti civili, pare essere stata esclusa dagli esponenti del PPE, anche da quelli in passato più inclini a trattare con i populisti e l’estrema destra in casa propria come l’austriaco Kurz o alcuni dirigenti della CSU bavarese. E’ molto probabile che per la parte che compete al parlamento, nel futuro delle iniziative delle istituzioni di Bruxelles, a cominciare dalla composizione della nuova Commissione, si formerà una maggioranza che accanto ai popolari e ai socialisti, che da soli non hanno più i numeri per fare da soli, vedrà i liberali del gruppo Alde (che è cresciuto grazie ai buoni risultati ottenuti dai partiti che lo compongono) e, forse, i Verdi. Una maggioranza così composta avrebbe anche la forza per respingere tentativi dei governi sovranisti di imporre candidati commissari di orientamento illiberale e anti-europeo. I nuovi commissari infatti, come il presidente della Commissione, dovranno essere approvati dal Parlamento, ed è già accaduto che l’assemblea bocciasse candidati presentati dai governi ma giudicati non adeguati. Accadde – qualcuno lo ricorderà – con Rocco Buttiglione, che fu rinviato al mittente, Berlusconi, a causa delle sue posizioni omofobe.

Si vedrà poi come questa possibile maggioranza europeista si comporterà sui dossier economici e sociali. Si vedrà se le sinistre, in una naturale alleanza con i Verdi e altre componenti democratiche, sapranno imporre una correzione significativa delle politiche seguite fino ad ora in materia di disciplina di bilancio, di investimenti, di tutele sociali e di misure per il controllo delle distorsioni dei mercati finanziari. Si tratterà, per la sinistra, di attrezzarsi con iniziative politiche ben più consapevoli e coerenti della sostanziale adesione alle linee economiche imposte dai governi alla Commissione che hanno mostrato in passato. In questo possono trovare buoni alleati nei Verdi, i quali hanno moltiplicato voti e forza politica riuscendo a interpretare, meglio della sinistra tradizionale, i bisogni di mutamenti radicali che vengono dalla società. Se ne è avuto un segnale chiaro dal successo delle mobilitazioni per l’ambiente degli ultimi mesi.

Il fatto che I Grünen in Germania abbiano sorpassato il partito che più di ogni altro incarna la tradizione della sinistra democratica in Europa ha in questo senso un forte significato simbolico. E i partiti ambientalisti hanno registrato successi clamorosi quasi dappertutto: gli écolos hanno superato, in Francia, non solo i socialisti, ma anche i gollisti, hanno avuto avanzate clamorose in Danimarca, in Finlandia, in Irlanda, sono diventati il primo partito di Bruxelles, hanno consolidato la loro forza in Austria e in Svezia. Sono deboli o assenti soltanto nei paesi del fu ex impero sovietico e, per motivi che sarebbe interessante studiare, in Italia.

Insomma, da queste elezioni europee non è venuta soltanto una significativa mutazione dei rapporti di forza politici in Europa, non tutta in positivo perché le istanze sovraniste e il populismo se pure hanno fallito il loro obiettivo sono comunque forti e pericolose. È venuto anche un segnale di vitalità dell’Europa, la smentita di chi è andato inanellando scontentezze e luoghi comuni sui “burocrati di Bruxelles” che penserebbero solo al diametro delle zucchine e alla loro lontananza di “casta” contrapposta al “popolo”. Alle urne, stavolta, ci sono andati tanti elettori quanti non se ne erano mai visti. Qualcosa significa.