L’anomalia dell’Italia che non vede
il colore Verde

Perché in Italia no? In uno come me che cerca da tempo di contribuire a dare rappresentanza politica all’ecologia nel nostro Paese, il trionfo dei candidati ambientalisti nelle elezioni municipali francesi di domenica scorsa suscita due sentimenti quasi opposti, come per ogni vittoria Verde in giro per l’Europa. Da una parte entusiasmo, dall’altra invidia. Entusiasmo perché il risultato del voto francese dimostra che oggi il verde è il colore chiave di una politica progressista credibile e vincente, invidia perché esso misura una volta di più l’anomalia di un’Italia rimasta l’unico grande Paese occidentale senza una presenza significativa degli ecologisti nel gioco politico.

Rivoluzione francese

Quanto accaduto in Francia nel secondo turno, quello di ballottaggio, delle elezioni amministrative ha davvero il sapore di una rivoluzione. La Francia delle città elegge sindaci ecologisti a Lione con Grégory Doucet, a Strasburgo con Jeanne Barseghian, a Bordeaux con Pierre Hurmic, a Poitiers con Leonore Moncond’hui, ad Annecy con François Astorg, a Besançon con Anne Vignot, a Tours con Emmanuel Denis, a Grenoble dov’è rieletto trionfalmente il sindaco uscente Eric Piolle. Anche a Marsiglia prevale nettamente nel voto una donna ecologista, Michèle Rubirola, ma qui per il meccanismo particolare che governa il voto municipale nelle tre principali città francesi (Parigi, Marsiglia e Lione) si dovrà attendere la prima riunione del consiglio comunale per l’elezione del sindaco, mentre a Parigi deve molto al voto ambientalsita la larga vittoria della sindaca uscente socialista, Anne Hidalgo, che tra primo e secondo turno è passata dal 29% al 49% anche grazie all’apparentamento con i Verdi.

Una rivoluzione, è bene ripeterlo, e una svolta che sgombera il campo da due assiomi considerati a lungo immutabili: l’idea che le coalizioni di sinistra non possano che essere a guida e trazione socialista – in Francia oggi il partito ecologista è la forza egemone tra i progressisti – e poi quell’altra idea che i partiti Verdi non siano “adatti” ai momenti di più acuta crisi economica, com’è senza dubbio quello attuale in tutta Europa.

Verdi d’invidia

Passando all’invidia, qual è la ragione per la quale in Italia i Verdi e in generale gli ambientalisti non hanno da oltre un decennio alcun peso politico? Due, credo, le principali. La prima è nell’inadeguatezza soggettiva di chi ha dato corpo, voce, volto all’ecologismo in politica, cominciando naturalmente da chi scrive. Esiste in Italia una larga domanda di politiche ambientali forti e coerenti, come dimostra la buona salute delle grandi associazioni ecologiste, ma tutti noi che abbiamo provato a tradurle in consenso nelle urne fino ad ora abbiamo fallito.

La seconda ragione è culturale, più complessa. I Verdi che vincono in Europa hanno rinnovato in profondità sia il linguaggio che i contenuti del loro discorso pubblico: in esso l’ambiente rimane centrale, ma accompagnato dalla consapevolezza che per tradurlo in una proposta di cambiamento convincente bisogna renderlo, come invocava Alexander Langer già decenni fa, “socialmente desiderabile”. Di nuovo, non ci siamo riusciti. Non siamo riusciti a dimostrare che le scelte urgenti per contrastare la crisi climatica, per abbattere l’inquinamento nelle nostre città, per ripulire dalla plastica mari ed oceani, sono anche la premessa per creare lavoro e, perché no, ricchezza e benessere pure sul piano economico.

Proprio in Francia è di moda questa metafora: se gli ecologisti vogliono scongiurare la fine del mondo, devono anche convincere le persone, gli elettori, che grazie a loro sarà più facile arrivare alla fine del mese. In Francia, in Germania, in tanti Paesi europei questa coppia concettuale è una consapevolezza sempre più diffusa. In Italia ancora è patrimonio di pochi.

Prima o poi, sono sicuro, festeggeremo anche noi ecologisti italiani una serata come quella francese di domenica. Sarebbe bello che avvenisse presto, che magari si cominciasse con qualcuna e qualcuno che a Roma, a Torino o in un’altra delle città dove si vota per il sindaco tra pochi mesi decidano, come si dice, di “metterci la faccia”, di offrire ai romani, ai torinesi, un progetto green che sia anche la visione di un futuro non solo più “pulito”, ma più sicuro e felice.