L’amore precario nell’Italia
dei contratti impossibili

L’amore e i precari secondo l’esordiente Andrea Di Iorio. Quattro più una. E i conti non tornano. Gira il mappamondo e anche i destini incrociati in un B&B dedalo delle “meraviglie”. Le conseguenze dell’amore. In una società patriarcale, capitalistica, precarizzata. Due coppie, quattro stanze, le regole del gioco, una disputa filosofico-antropologica vecchia quanto la cosiddetta società che la ospita. Che cos’è una “coppia”? Che senso ha l’amore monogamo? Esistono paletti alla felicità? Essere indipendenti, curiosi, indomiti, coraggiosi, significa rinunciare all’amore? L’amore è paura o chi vive in coppia ha paura di amare davvero? E nell’Italia della gioventù dilatata nei contratti impossibili, l’amore è misurabile dai co-co-co e dai desideri di fuga “fuori”, è un rifugio o una condanna? Carriera o amore o entrambe? Quali sono i prezzi della realizzazione identitaria? Andrea Di Iorio esordisce con un film da “camera” in cui interroga se stesso e la generazione dei venti-trentenni “Senza Distanza”.

Enzo e Mina trascinati da Mina, la più irrequieta dei due, decidono di passare un weekend in un B&B senza collocazione individuabile, pascolo bucolico per la mente e per lo spirito, non-luogo di ricerca e auto osservazione per capire dove sta andando la propria storia, personale e non solo. Enzo e Mina vivranno separati in un due stanze diverse e dovranno rispettare fusi orari e costumi alimentari delle città alle quali è intitolata la stanza, con vista finta sui relativi paesaggi altrettanto fasulli Fatta la regola trovato l’inganno, quasi subito i due, complice l’arrivo di un’altra coppia in bilico, stravolgono restrizioni e distanze, dapprima con l’arrivo della hippie moderna Gaia, nipote del gestore del B&B che con la sua fame vorace e i suoi concetti di amore libero e individuale, di condivisione degli affetti e di totale autonomia, scatena tanti entusiasmi quanti rancori, rabbie, dubbi. Così alcuni tenteranno di misurarsi con la seduzione del “nuovo”, altri confermeranno la propria sete di cambiamento, altri ancora semplicemente spariranno, forse.

Un concerto di anime in subbuglio che si misurano con la contraddittoria ansia umana, con il bisogno del conforto esclusivo e rassicurante dell’amore ma anche della sua passione, della sua sorpresa, della sua molteplicità. “Essere” umani è ambiguo e mobile, questo devono accettare Enzo MIna e compagnia, votandosi con onestà all’imprevedibilità della vita. La vita è trasformazione e ogni limitazione e schema sociale è una confezione, un’imposizione, una struttura artificiale, nel bene e nel male, tanto i patriarcati quanto gli amori “liberi” matrilineari. Esiste solo lo strano miscuglio tra caso e destino, ragione e sentimento.

Non spostandosi molto dalla sintetica dissertazione filosofica Di Iorio a differenza di quanto pretende dai suoi protagonisti, non sperimenta ma sentenzia, in un’opera dallo stile televisivo che non muta, anzi sembra stagnare nella sua divagazione verbosa. Come in un esperimento che molto avrebbe potuto mutuare da Fincher o Allen, Di Iorio cerca per buona prima parte una linearità paralizzante, per poi giocare anch’esso da neo autore, la carta del montaggio che spariglia le carte e mescola i piani temporali e concettuali. Ma resta un film a tesi che mette in incubatrice tanto l’empatia degli attori quanto le potenzialità della vicenda, dove implodono i risvolti di suspense e la surreale  ambientazione pur promettente ed evocativa dei primi minuti.