Violenza e fascisti
è ora di dire basta

La violenza dei fascisti si accredita sempre come violenza preventiva.  Reduci e arditi, dopo la Prima Guerra mondiale,  manganellavano  socialisti e sindacalisti per arginare la “violenza rossa”  e il contagio della rivoluzione bolscevica.  Il gruppo di fascistelli che si è presentato sotto Repubblica ieri pomeriggio vuole  invece difenderci  dal virus dello ius soli e preservarci dalla “sostituzione etnica”. Salveranno l’Italia bianca e  cristiana dalla peste dell’invasore:  comunque colorato,  e  comunque islamico.

Il paragone col primo fascismo è eccessivo, si dirà.  No. Non tanto per le somiglianze storiche, che andrebbero meglio indagate. Ma perché è esattamente quella, oggi, la misura del rischio.  Prima che la banda in maschera lanciasse fumogeni contro le vetrate del gruppo Espresso abbiamo subìto,  impotenti e senza reazione,  un rally di cupi simbolismi, di intolleranze e di minacce.   Mettiamo in fila gli episodi: a giugno i raid anti immigrati al Parlamento. A settembre i manifesti  contro i migranti in cui l’uomo nero è per definizione uno stupratore. A ottobre la memoria della povera Anna Frank trascinata in un macabro gioco social.  Il palinsesto oscurantista prevedeva anche un remake della marcia su Roma, poi vietata ancorchè in extremis. Infine  le ronde di Casapound e i saluti romani per i repubblichini di Salò al Campo X del cimitero Maggiore di Milano.  Prima del raid antiRepubblica,  l’incursione del Veneto Fronte Skinhead nella sede di Como senza frontiere. Tutto questo accade nel momento di massimo discredito (quello meritato e quello amplificato) del sistema politico. Può bastare?

In cinque mesi la propaganda della destra più reazionaria – sarà il caso di rispolverare l’aggettivo dall’armadio della modernità in cui è finito  – e le bugie sullo ius soli hanno ceduto al gesto esemplare, all’ azionismo di aggressione secondo il quale l’avversario è prima di tutto un nemico da abbattere.  Sono state  reintrodotte nel lessico le tossine di un vero e proprio conflitto civile.  Che cos’altro si sta preparando, infatti,  se Forza Nuova  scrive che la parata di Roma è “il primo atto di guerra”,  che la capitale e l’Italia “si difendono con l’azione, spalla a spalla,  se necessario a calci e pugni” (non dovessero bastare le capocciate a sangue freddo degli Spada)?

Il metodo è quello. Le parole pure. E anche l’obiettivo è esemplare.  Repubblica è il giornale che per primo ha denunciato le collusioni tra la destra e la criminalità organizzata a Ostia, i cronisti  del gruppo Espresso vanno sotto scorta per le minacce dei clan.  Sistematicamente  hanno scavato nel sottomondo che unifica politica e criminalità,  e hanno raccontato per tempo episodi grandi e piccoli di intolleranza e di degrado e la caduta di fondamentali anticorpi culturali e civili. Repubblica  ci ha provato spesso in solitudine, mentre altre, contemporanee campagne politiche massacravano memorie collettive e serbatoi di idee, la Resistenza in primis.

Opinioni sempre, e tante e diverse. Violenza mai. Ecco lo spartiacque, e in realtà è lo spartiacque di sempre.  Dopo il fascismo l’Italia ha conosciuto un’altra deroga a questa legge: fu negli anni del piombo e delle bombe.  Ancora portiamo i segni di ambigui misteri e divisioni profondissime.  Centinaia sono morti, una generazione si giocò il futuro.

Quindi no, nessun  paragone è  sproporzionato  e  nessun allarme deve suonare troppo acuto.  Il ministro Minniti se ne fa garante, e merita fiducia.  Repubblica deve sentire la solidarietà – senza se e senza ma – non solo dei giornalisti, ma di quel tanto di opinione pubblica che ancora sopravvive.  Non sarà facile: i partiti e le altre grandi istituzioni sono al minimo storico di popolarità, e  una parte della destra politica gioca con le fazioni curandosi poco dei danni che i maestri possono produrre quando fanno male il proprio mestiere.  L’espressione “sostituzione etnica”  è nel programma della Lega, dentro un vasto campionario di insulti antimigranti. Difendere il giornale è un dovere di chi ancora ha a cuore una cosa che si chiama convivenza civile.