La via obbligata del Pd, discutere e dividersi senza nuove scissioni
Certo ci vuole un talento fuori dal comune per attirare su di sé – come fa il PD- ogni sorta di polemica anche quando si fanno le cose giuste. Le cose giuste sono: fare un congresso a scadenza naturale o straordinaria; rendere contendibile la leadership con un voto democratico che in questo caso va persino oltre gli iscritti; darsi dei fondamenti comuni (programmi, valori etc etc) per l’agire comune.

Il PD è l’unico partito che lo fa da quando è nato, in continuità peraltro con le forze politiche che gli hanno dato vita Gli altri? Lasciamo perdere la destra: Forza Italia è nata (e cesserà) come partito di un uomo, nella Lega il potere del capo sembra intoccabile anche quando perde, e tra i postfascisti di Giorgia Meloni non si ha memoria di grandi confronti politici. Ma anche nel campo dell’attuale opposizione la musica non cambia. Le regole e i “valori” dei 5 Stelle li detta direttamente un capo (prima Grillo, ora Conte), senza alcuna discussione. Né si ricordano candidature contrapposte o grandi discussioni nei partiti personali di Calenda e di Renzi. Persino in Articolo 1 -alĺa fine confluito nel PD- la conclusione dell’esperienza nata dalla scissione non sembra avvenuta in base ad un dibattito particolarmente partecipato.
Torniamo al PD. Naturalmente ci sono, e non sono poche, anche cose sbagliate, dagli errori di linea politica alle alleanze infelici, passando dai limiti dimostrati in diverse occasioni dai gruppi dirigenti. Anche per questo si fanno – chi li fa – i congressi. E ai congressi – vivaddio – si discute e ci si divide sulle scelte. Senza che ogni divisione debba essere vissuta come una definitiva resa dei conti. Senza che tutto debba finire con una scissione, come le ultime due organizzate dall’alto addirittura da due ex segretari.

Altrove le divisioni sono state anche più profonde (nel Labour per esempio, tra seguaci bĺairani e seguaci di Corbyn) ma non èstata messa in discussione la casa comune. E ora la scissione viene evocata (ma solo mediaticamente) di fronte alla scelta contrapposta di alcuni punti della carta dei valori (più Stato nell’economia oppure no) o alla necessità di cambiare nome. Temi importanti, certo, ma non è da oggi che nei partiti socialisti convivono anime più lib e anime più lab. L’impressione è che nel PD continueranno a convivere, non fosse altro che per la lezione delle ultime scissioni che hanno prodotto solo piccoli partitini. L’appello del segretario uscente Enrico Letta va in questa direzione e non sarebbe male, per una volta, accoglierlo senza riserve.
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