La tragedia di Rita, picciridda coraggiosa
che legò la sua sorte a Borsellino

Siamo a pochi giorni dalla commemorazione della strage di Capaci ed è appena uscito nelle sale cinematografiche il bel film di Marco Bellocchio su Tommaso Buscetta, le cui dichiarazioni hanno consentito la realizzazione del maxi-processo palermitano. Molte parole e molte immagini hanno concentrato la nostra attenzione sul sacrificio di Falcone e Borsellino e degli uomini delle scorte, mettendo ancora una volta in primo piano gli orrori della mafia e anche la possibilità e necessità di sconfiggerla con la forza delle istituzioni.

Varrebbe la pena allora ricordare in questi giorni anche Rita Atria, una ragazza che, forte solo della sua fede nella giustizia e nella libertà, si è opposta alla mafia proprio guardando con occhio fiducioso alle istituzioni. Eppure, Rita è stata anche una vittima della mafia, nella vita e nella morte. Lei ha posto fine alla sua esistenza alla notizia dell’uccisione del giudice Paolo Borsellino, perché in quel giudice aveva riposto tutte le sue speranze di riscatto e di libertà dal giogo mafioso. Nata e cresciuta a Partanna, nel trapanese, in una famiglia legata ad una cosca di Cosa Nostra, adora il padre, pastore e “uomo d’onore”, che in paese esercita il potere con arroganza, sempre pronto a incendiare campi e ad ammazzare uomini e bestiame se gli viene comandato. La Rita bambina ammira quest’uomo, che vede importante, cui tutti si rivolgono per un consiglio o per la risoluzione di una lite e quando lui viene ammazzato, qualcosa si spezza dentro di lei. Negli anni successivi, esplode la sua prima giovinezza di adolescente estroversa, piena di voglia di vivere. Vuole costruirsi una vita indipendente e comincia a frequentare a Sciacca un istituto alberghiero, pensando a un futuro di lavoro e di libertà dalla famiglia e dalla madre, una donna chiusa e altera, come sono molte siciliane, che vive immersa in quel mondo antico di tradizioni contadine e mafiose. Siamo alla fine degli anni ottanta, quando Partanna è insanguinato dalla faida tra due famiglie che si fanno la guerra per affermarsi nel traffico dell’eroina. In questa faida, nel 1991 finisce massacrato Nicola, il fratello di Rita, uomo violento e tracotante, che aveva giurato di voler vendicare la morte del padre. A questo punto, Rita si ribella a questa catena di assassinii e decide pure lei di vendicarsi, ma in altro modo: si rivolge allo Stato.

In un primo momento, questa ragazzina di diciassette anni, che dice ai carabinieri di avere tante cose da raccontare sul mondo mafioso del suo paese, non viene presa in alcuna considerazione. Ma lei non demorde. Insiste e tempesta di telefonate le forze dell’ordine, finché viene ricevuta dal procuratore di Sciacca. I giudici sono cauti inizialmente, ma la ragazza riesce evidentemente ad essere convincente, tanto che la questione Rita Atria passa alla competenza della Procura di Marsala, il cui capo è Paolo Borsellino. Lei è un fiume in piena: fa i nomi, racconta fatti e storie. Nasce fin da quei primi giorni un legame con il giudice, fatto di assoluta fiducia e confidenza da una parte e di affettuosa, paterna protezione dall’altra. Le dichiarazioni di Rita cominciano a delineare con chiarezza i connotati di ferocia della mafia di Partanna e portano a numerosi, importanti arresti. La vita della ragazza in paese si fa difficile: è più volte minacciata, è in pericolo. E’ sotto tiro anche psicologicamente: è una traditrice e così la giudica pure la madre, da cui lei si allontana sempre più. Di qui la decisione dei giudici di trasferirla a Roma, sotto protezione della polizia.

Comincia per Rita una vita nuova. Vive sì nascosta, sotto falso nome, sotto tutela, però la grande città la affascina e immagina per sé un futuro libero e smagliante. Non ha più legami con la famiglia che la rinnega. Lei ha tagliato le sue radici e si sente una foglia al vento. Eppure, sa di avere un forte punto di riferimento in Paolo Borsellino, al quale racconta la mafia, ma anche le sue incertezze, i suoi stati d’animo. Può telefonargli ad ogni ora del giorno e della notte, per una confidenza, per un pensiero che la tormenta. Intanto il giudice, sulla base delle sue dichiarazioni, sta istruendo il processo alla mafia di Partanna, nel quale Rita è pronta a testimoniare. Ma quando, il 19 luglio 1992, la televisione dà la notizia del massacro di via d’Amelio, la ragazza capisce di non avere più scampo. Si sente persa. La mafia ha vinto ancora una volta. Ogni ribellione è inutile. E così il 26 luglio si lascia cadere dalla finestra della casa in via Amelia, luogo del suo rifugio romano. La madre non parteciperà nemmeno ai funerali, perché il suo codice d’onore le impone di non piangere una figlia che lo ha tradito.