La telegenia
del populismo
Manipolato non tanto dall’eccesso di giustizia, che porta sempre all’ingiustizia, quanto dall’eccesso di processi dell’operazione Mani pulite, l’elettorato italiano si è d’improvviso precipitato a occhi chiusi nell’abisso spalancato dall’imprenditore dei media, creando così un nuovo genere d’alternanza, non più tra la sinistra e la destra parlamentari bensì tra il politico e il mediatico, dove il fascino dello schermo ha la meglio non solo sul testo scritto e sulla necessità di un programma politico qualsiasi ma anche sui sondaggi d’opinione, con l’Auditel che entra clamorosamente sulla scena della legalità repubblicana, nella misura in cui il genio dell’oratore cede la sua supremazia alla telegenia del candidato o della candidata. Possiamo con ciò parlare dell’ingresso in politica di una sorta di pubblicità comparativa, un regime di libera concorrenza in cui i fautori del piccolo schermo prevarrebbero su quelli della stampa e del progetto parlamentare? Come tutti sanno comparazione (comparaison) non è ragione (raison) e l’evento è gravido di conseguenze.
In effetti l’Italia è sempre stata all’avanguardia nell’ambito della rappresentazione artistica o politica. Dal Quattrocento al “Bel canto”, passando attraverso l’architettura barocca e il cinema, la penisola italiana è sempre stata il laboratorio dell’Europa delle civiltà. Contro ogni ragione, l’Italia è, è stata e sempre sarà futurista…, ma per chi conosce per esperienza quali rapporti congeniti leghino futurismo e fascismo, l’ascesa al potere del “polo delle libertà” non è troppo rassicurante per l’avvenire del nostro continente, nel preciso momento in cui esso si trova minacciato dalle conseguenze fatali della purificazione etnica nell’ex-Iugoslavia.
La campagna di preparazione mediatica di un “Colpo di Stato informazionale” non può fare a meno di un certo tipo di linciaggio, del discredito morale gettato sulla classe politica costituita; almeno nei paesi in cui la potenza economica alleata alle tradizioni democratiche realizza un’eccezionale stabilità delle istituzioni repubblicane. Una sorta di congiura implicita, come se i media audiovisivi garantissero con l’investigazione il ruolo della pubblica inchiesta non più sull’uno o sull’altro sospetto ma nei confronti della classe politica nel suo insieme: un accoppiamento fatale tra il potere di liberazione degli scandali e il puritanesimo proprio dei Paesi anglo-sassoni. Tentativi di squalificazione degli eletti della nazione, in nome di una lotta alla corruzione in cui l’idealità di una giustizia “politicamente corretta” non si distingue più troppo bene dal carattere “otticamente corretto” che le conferiscono la rappresentazione televisiva e coloro che la gestiscono e dirigono.
Formato in modo massiccio dalle reti televisive private, dai videogiochi e dalle varietà iperviolente di una cultura americana di cui l’Italia si è sempre mostrata ghiotta, il continente perduto delle giovani generazioni latine, insidiate dalla disoccupazione e dalla mancanza di valori, va ora alla deriva verso una disperazione fondamentalmente transpolitica.
Assisteremo forse domani, nell’insieme dell’Europa del sud (Spagna compresa), come ieri nel subcontinente americano, all’associazione disastrosa del “populismo” latino e del “liberalismo” anglosassone, con la cultura politica latino-americana che si estende, scavalcando l’Atlantico, al nostro vecchio continente?
Nel preciso momento in cui tutti celebrano i meriti delle future “autostrade elettroniche” dell’informazione, la trasmissione televisiva (tra breve digitalizzata) delle informazioni non permette alcuna forma di memorizzazione attiva ma soltanto una reazione emotiva che ha nella violenza passiva il solo criterio, dato che i fanatici dello zapping non riflettono troppo sulle loro scelte intempestive.
Con la nomina di ministri neo-fascisti all’interno di un governo della Comunità europea allargata, tutti i revisionismi e i negazionismi potranno dare libero corso alle loro interpretazioni della storia. Non c’è dubbio che ci troviamo di fronte a un’avanguardia “post-politica”, ma è l’avanguardia dell’oblio.
(Paul Virilio, “Lo schermo e l’oblio”, 1994)
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