La svendita continua delle spiagge italiane

La singolare modalità che lo Stato ha di “regalare” ai privati i gioielli di famiglia  non salva uno dei cavalli di razza della nostra economia: il patrimonio costiero italiano, migliaia di chilometri di spiagge che ne fanno la meta preferita per milioni di turisti l’anno. E’ “all’italiana” però,  la formula con cui le aree di demanio marittimo, le spiagge per intenderci,  vengono concesse ai privati per farci attività turistiche, ricreative e di ristorazione. Laddove “all’italiana” vuole dire con concessioni a prezzi irrisori e …a vita.

Non solo. Senza obbligare il privato a investire parti cospicue dei ricavi in opere necessarie a combattere l’erosione e la perdita di sabbia a cui le nostre coste sono soggette. Cosa significa? Che il nostro patrimonio ambientale costiero, che ha una lunghezza di 8.300 chilometri di cui più del 9% artificiali (dati Ispra),fonte economica primaria per il nostro Paese, minacciato gravemente in molte parti da dissesti idrogeologici, frane, cementificazioni tombali di fiumi e torrenti, è per 4 mila chilometri occupato da circa 25.000 concessioni demaniali legate a circa 12.000 stabilimenti balneari, ovvero è stato dato “a vita” agli stessi gruppi privati, con rinnovi automatici “da padre a figlio”, senza chiedere in cambio la garanzia e la responsabilità di tutela e di protezione di quel bene.

Lo Stato incassa da queste concessioni demaniali  101 milioni di euro a fronte di stabilimenti balneari che nel solo anno 2007 hanno fatturano 15 miliardi di euro(dati Nomisma). Ma su che base lo Stato elabora le tariffe dei canoni di affitto sulle aree demaniali? Queste sono regolamentate da un Decreto che individua 3 aree della costa italiana per l’applicazione dei canoni: fascia A, ovvero alta valenza turistica; fascia B, ovvero normale valenza turistica; fascia C bassa valenza turistica. In tutta Italia i canoni applicati sono quelli della fascia C, ovvero bassa valenza turistica. Paradossale che l’Italia del mare, dell’industria turistica possa vedere classificata la propria costa in fascia C, bassa valenza turistica. Ma questo è un altro dei tanti regali di Stato alle imprese private, i padroni delle spiagge che pagano al mese meno dell’affitto di un appartamento di edilizia economica e popolare.

Che ne dite? Siamo alle solite. Ma qui si tratta di un bene altamente deperibile e se continuiamo a vedere i dati dell’Ispra ci rendiamo conto che negli ultimi vent’anni  “interi arenili sono fortemente arretrati, con una perdita di territorio e del suo valore sia dal punto di vista ambientale sia economico, inoltre, molti sono i casi in cui l’erosione dei litorali ha messo in crisi la sicurezza di abitazioni, strade e ferrovie, specie in caso di mareggiate” e che nonostante i numerosi interventi di conservazione e ripristino dei litorali, le spiagge continuano a perdere superficie. “Tra il 1999 e il 2007 le spiagge italiane hanno perso 600.000 m2 di arenili”. Ma la drammaticità della situazione, aggravata dalle conseguenze dei cambiamenti climatici e dall’arrembaggio dei signori del cemento, non ha fatto scattare nessun campanello  d’allarme né tanto meno ha modificato l’incuria e la trascuratezza  con cui lo Stato offre sul mercato i suoi beni.

E’ stata l’Europa a svegliarci dal torpore e dall’inettitudine, raccomandandoci, con la Direttiva Bolkestein del 2006, il regime concorrenziale come “criterio attraverso cui erogare servizi e svolgere le attività commerciali e intellettuali, nell’ottica di una competizione trasparente e transnazionale e ritenendo il servizio erogato dalle imprese balneari un servizio del settore turismo e in quanto tale, assoggettabile a gara, con conseguente applicazione delle norme che sovrintendono le procedure ad evidenza pubblica”. Una bomba messa sotto le sdraie dei padroni delle spiagge.  Aggirata però dalla immediata disposizione, inserita nella riforma del Codice di Navigazione, che prorogava al 2020 il rinnovo delle concessioni.  Sbeffeggiata la direttiva, schivata la parte più insidiosa del diritto “esclusivo”, a vita, delle concessioni…ma non evitata una procedura d’infrazione con deferimento alla Corte di Giustizia europea che, nel 2016, ha dichiarato incompatibile la proroga delle concessioni balneari al 2020 e imposto all’Italia una legge che ristabiliva una certa congruenza con la direttiva. Certa? Non proprio. Perché l’attuale ddl presentato dal precedente governo, stabilisce sì, la procedura dell’assegnazione delle concessioni con gara pubblica, ma ancora una volta, non ne fissa termini, né durata, rinviando a futuri decreti delegati e lasciando ampio margine alle autonomie locali circa la durata delle concessioni.

Un vespaio a cui si aggiunge la denuncia di 20 sindaci costieri che si riuniscono in questi primi giorni di settembre a Bibione di San Michele al Tagliamento per salvare la sabbia delle spiagge dall’erosione continua e drammatica e “dare una scossa al sistema” visto che i ripascimenti pesano sui bilanci delle Regioni per centinaia di migliaia di euro. Un grido d’aiuto per fermare la perdita di sabbia che per questi 20 comuni costieri “è oro puro e vale sessanta milioni di presenze turistiche l’anno”.