L’antisemitismo Labour usato come un’arma contro Jeremy Corbyn
“L’antisemitismo è assolutamente ripugnante, un abominio responsabile per alcuni dei più gravi crimini commessi dall’umanità. Sono sempre stato determinato ad eliminare ogni forma di razzismo e sradicare il cancro dell’antisemitismo. Chiunque dica che l’antisemitismo nel Partito Laburista non esiste, si sbaglia. Le comunità ebraiche fuori e dentro al partito laburista avevano ragione ad aspettarsi che ce ne occupassimo e rimpiango che ci sia voluto più tempo del necessario nel portare avanti i cambiamenti necessari.”
Parole oneste e condivisibili, espresse da Jeremy Corbyn in un comunicato in risposta alla pubblicazione dell’“Investigazione sull’antisemitismo nel Labour Party” della Commissione sull’Uguaglianza e i Diritti Umani che ha concluso che il Labour va ritenuto responsabile di atti illeciti di discriminazione e molestie di antisemitismo di due suoi rappresentanti, l’ex sindaco di Londra Ken Livingstone (sospeso dal partito nel 2016) e un consigliere locale.
Lo stesso comunicato per cui Jeremy Corbyn è stato sospeso dal partito laburista in cui ha militato per oltre mezzo secolo e di cui è stato segretario per più di 4 anni, in un atto senza precedenti nella politica britannica – figlio dell’ennesima puntata di una saga che rischia di trascinare il Labour in un interminabile diatriba legale e politica, mettendo a rischio l’unità del partito come poche volte in 120 anni di storia.
Una vicenda, quella della polemica sull’antisemitismo nel Labour, che ha, negli anni, creato una forte preoccupazione nelle comunità ebraica britannica, un diluvio di polemiche, ed è probabilmente costata a Corbyn una buona fetta dei seggi che gli sono mancati nell’elezione di Dicembre 2019, perse contro i conservatori di Boris Johnson.
Un “ma” fuori posto
Una vicenda che getta una luce sinistra sul Labour, rivelando la violenza e il cinismo della battaglia politica contro la leadership di Corbyn, alcuni limiti dello stesso Corbyn, e il futuro incerto del partito nella stagione che si è aperta lo scorso Aprile con l’elezione a segretario dell’ex responsabile per le politiche sulla Brexit Keir Starmer.
C’era un “ma” nel comunicato di Corbyn che, a detta di Starmer, ha portato alla sospensione. “Un antisemita è uno di troppo ma la scala del problema è stata drammaticamente esagerata per ragioni politiche dai nostri oppositori dentro e fuori dal partito, così come da larga parte dei media.” Scrive così Corbyn, prima di rinforzare il concetto in una intervista televisiva.
I ma nelle frasi in cui si condanna il razzismo sono sempre un po’ pelosi. Soprattutto nel giorno della pubblicazione di un rapporto che condanna la sua gestione e una vicenda che, comunque la si pensi, ha danneggiato l’immagine del partito. Era il giorno dell’umiltà e non quello delle polemiche, quello in cui riflettere sull’antisemitismo e su come combatterlo, e un po’ di cautela era stata chiesta a Corbyn anche dai suoi colleghi della sinistra del partito.
Eppure non si riesce a dare del tutto torto a Corbyn. Perché è innegabile ci sia stato, da parte di alcuni dei suoi oppositori, un uso politico dell’antisemitismo per demolire l’immagine di politico antirazzista sempre dalla parte giusta della storia, immagine che aveva determinato la sua ascesa alla leadership. Un’ascesa mai digerita da una parte del partito, che ha fatto di tutto per combatterlo, compreso fomentare una velenosa associazione tra Corbyn e l’antisemitismo.
Il sabotaggio interno
È questa l’altra storia, agghiacciante, che emerge dal rapporto anonimo apparso pochi giorni dopo l’elezione di Starmer, ad Aprile, ampi estratti del quale sono stati pubblicati su Novara Media. Nel rapporto emerge la slealtà di diversi membri dello staff del quartiere generale laburista che per i primi tre anni della leadership di Corbyn lavoravano apertamente contro il leader, ritardando deliberatamente i procedimenti per le accuse di antisemitismo (come confermato anche dal fondatore, ebreo, di Momentum Jon Lansman) mentre ne fornivano anonimamente i dettagli alla BBC, nel documentario dal tendenzioso titolo “Is Labour Antisemitic?” trasmesso pochi mesi prima delle elezioni generali. Un documentario basato su distorsioni della realtà (come denunciato da Jewish Voice for Labour, qui) che contribuì ad esasperare la polemica che aveva portato alcuni deputati anti-Corbyn ad uscire dal partito
Una conferma implicita del sabotaggio ai danni di Corbyn arriva proprio dal rapporto della Commissione sull’Uguaglianza e i Diritti Umani, che pur contestando le falle del processo di segnalazione dei casi di antisemitismo (ritardi, poca chiarezza sul processo, mancanza di training del personale) riconosce che il partito abbia migliorato il trattamento delle segnalazioni di antisemitismo durante gli anni di Corbyn. Anche se si dimentica di spiegare perché.
Misure più energiche contro l’antisemitismo iniziano quando, nel 2018, grazie alla vittoria nelle elezioni per il rinnovo della NEC (il Comitato Esecutivo Nazionale del partito) la corbynista Jennifer Formby sostituisce come funzionario di più alto rango Iain McNicol, uno dei dipendenti sleali accusato tra l’altro di avere partecipato al tentativo di estromettere Corbyn dalla leadership nei giorni successivi alla Brexit (come raccontato dal Financial Times).
Le statistiche dalla parte di Corbyn
I risultati di questo cambio ai vertici sono evidenti dalle statistiche (qui) sui casi di antisemitismo riportate sul sito del partito. Il Labour ha espulso 1 membro per espressioni di antisemitismo nel 2017, 10 nel 2018 e 45 nel 2019. Un simile risultato per le sospensioni, passate da 98 nel 2018 a 296 nel 2019. Numeri comunque limitati per un’organizzazione da mezzo milione di iscritti, anche in considerazione del fatto che la policy per individuare i casi di antisemitismo viene cambiata proprio da Corbyn per contemplare anche like e condivisioni su facebook di articoli con passaggi antisemiti.

Intendiamoci, parliamo di casi reali. Come dice anche Corbyn, l’antisemitismo nel Labour esiste, come esiste nella società. Un fenomeno preoccupante, a cui la sinistra deve prestare attenzione, in crescita negli ultimi anni, come tutte le forme di razzismo. Dobbiamo educarci a riconoscerlo e comprenderne le radici culturali e politiche. Ma non esistono evidenze statistiche che i casi di antisemitismo nel Labour siano maggiori che in altri partiti o nel resto della società. Né questo è stato fatto rilevare dalla Commissione.
È lo stesso rapporto della Commissione (il documento integrale di 130 pagine qui) a lasciare a volte interdetti. Il Labour viene infatti condannato per via delle interferenze politiche che l’ufficio di Corbyn esercitava sulle procedure di espulsione generando, a detta della Commissione “un fallimento della leadership”. Ma è lo stesso report a chiarire che in quasi tutti i casi l’ufficio di Corbyn faceva pressioni per accelerare la sospensione o l’espulsione di membri interessati da segnalazioni di antisemitismo, come ad esempio nel caso eclatante dell’ex sindaco di Londra Ken Livingstone, costretto anche da Corbyn (leggi qui) ad abbandonare il partito in seguito a una dichiarazione antisemita.
Di fatto, una certa enfasi polemica in un rapporto altrimenti solido e utile per capire come migliorare le segnalazione dei casi di antisemitismo, deriva potenzialmente dall’orientamento della Commissione, un ente pubblico responsabile per la promozione e il rispetto delle leggi sull’eguaglianza in Inghilterra, Scozia e Galles. Come riportato da Jacobin il direttore della Commissione sarebbe vicino al governo, dal quale il suo studio legale ha ricevuto importanti commissioni. Non sorprende dunque la decisione della Commissione di non indagare sull’islamofobia del partito conservatore, nonostante il voluminoso dossier ricevuto dal Consiglio dei Musulmani Britannici, con la motivazione che i Tories avevano promesso di iniziare una auto-inchiesta. Lo stesso criterio non è stato adottato nei confronti del Labour, nonostante nel 2016 Corbyn avesse incaricato la baronessa e icona progressista Shami Chakrabarti di un’inchiesta sulle manifestazioni di antisemitismo e razzismo all’interno del partito. L’inchiesta di Chakrabarti portò nel 2016 ad un rapporto (si trova qui) ed a miglioramenti nel sistema di segnalazione dei casi di antisemitismo che la stessa Commissione definisce “significativi”.
Le critiche allo stato di Israele
Le stesse denunce da cui era partita l’inchiesta derivano da organizzazioni non esattamente amichevoli nei confronti di Corbyn. Denuncia sempre Jacobin (qui) come una di queste, la Campagna Contro l’Antisemitismo, abbia suscitato feroci critiche per i tentativi di etichettare come antisemite le critiche verso lo stato di Israele e per un report sull’antisemitismo nella moderna Gran Bretagna definito “irresponsabile”, “incendiario” e “sensazionalista” dal autorevole Institute for Jewish Policy Research. L’altra, lo storico Jewish Labour Movement, è stato sempre molto critico verso Corbyn, rifiutandosi sistematicamente di collaborare con la leadership perfino nel fornire programmi per educare i membri a riconoscere l’antisemitismo.

Va sottolineato come una diffusa ostilità verso il Labour nella comunità ebraica britannica risalga a prima di Corbyn, in particolare in seguito alla decisione del 2015 di Ed Miliband, che pure era il primo leader ebreo del partito, di votare a favore di una mozione sul riconoscimento dello stato palestinese, come raccontato dall’ex vice presidente di Labour Friends of Israel. Di fatto, la radicalizzazione della dinamica politica in Israele ha influito sul posizionamento politico di alcune organizzazioni della comunità ebraica con un irrigidimento verso le organizzazioni simpatetiche verso la causa dei palestinesi.
È comunque innegabile che l’associazione forsennata proposta da diversi tabloid e dalla stampa di Murdoch, Times in testa, tra il Labour di Corbyn e l’antisemitismo, ha causato un forte allarme tra i cittadini di religione ebraica. Non si può e non si deve sottovalutare lo stress e la sofferenza generati dal riemergere dell’antisemitismo nel dibattito pubblico. Né si può dire che Corbyn sia esente da colpe per non avere cercato di mitigare questa sofferenza e ribaltare questa narrazione.
Un problema che resta
Se era umanamente difficile per un uomo di pace che ha speso tutta la sua vita politica a combattere ogni forma di intolleranza rintuzzare l’odiosa associazione con l’antisemitismo (soprattutto se in parte strumentale) troppo poco è stato fatto da Corbyn per ribaltare la narrazione costruita dai suoi oppositori. Serviva un gesto simbolico, un discorso forte sull’antisemitismo, soprattutto all’ondata di nuovi iscritti durante la sua leadership. È prevalso invece, nel cerchio ristretto attorno a Corbyn, una cocciuto immobilismo strategico, non molto diverso da quello sulla Brexit, che alternava minimizzazioni, tentativi di cambiare argomento e risposte stizzite, ma che ha fatto si che fossero gli altri a definire i contorni di una crisi cresciuta negli anni. Del resto se, come spesso è capitato a Corbyn, rifiuti di giocare la partita mediatica, altri la giocheranno per te, attribuendoti un’immagine magari falsa, ma capace di attecchire, anche per il cinismo dei tuoi avversari.
Starmer, che la partita mediatica mostra di volerla giocare con cinismo, ha difeso la decisione di sospendere Corbyn (nella quale, a suo dire, non ha giocato un ruolo essendo stata presa da semplici funzionari) sottolineando come si fosse posto contro la linea del partito, da lui esposta nella conferenza stampa seguita alla pubblicazione del rapporto. Di fronte ai giornalisti Starmer si è scusato a nome del partito verso la comunità ebraica ed è stato durissimo nel condannare la precedente gestione sottolineando che chi parla di esagerazioni e di motivazioni politiche dietro le accuse, “è parte del problema”.
Ma se Corbyn non aveva bisogno di aggiungere quel “ma” nemmeno Starmer aveva bisogno di avallare una lettura sensazionalista della crisi, né tantomeno di sostenere una sospensione che non ha precedenti politici e ha dubbie basi legali. Di sicuro non porterà nulla di buono al Labour, riaprendo le divisioni interne quando servirebbe compattezza contro i mille errori sulla pandemia di Boris Johnson (che qualcosa di antisemita l’ha scritto davvero).
Anche per questo, quello che era un problema di Corbyn è ora un problema di Starmer. Certamente dovrà implementare completamente le raccomandazioni del rapporto della Commissione, ma dovrà anche trovare una via dignitosa per riammettere Corbyn nel Labour riportando l’unità che aveva promesso quando è stato eletto. Se non ci riuscirà, una scissione è inevitabile, quantomeno quella di migliaia di iscritti. Per quel che vale, sarei uno di loro.
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