La solitudine
del leader

Un uomo solo al comando. Fino a tre giorni fa la frase (locuzione come dicono gli esperti) avrebbe evocato un carattere imperioso se non imperiale. L’attenzione, tanto per intenderci, sarebbe caduta come un piombo sul comandato sostantivo, non certo sul solitario aggettivo.

Dopo tre canti di gallo e una settantina d’ore (settandadue, dicono i matematici) la locuzione di cui parliamo (frase, come diremmo tutti noi) s’è improvvisamente rovesciata. Perché l’uomo in questione, sarà pure al comando, ma è soprattutto solo. Terribilmente solo. Ma di una solitudine che con il decisionismo virtuoso del leader ha poco o nulla a che fare. Qualcosa tipo prima eravamo in tre a ballare l’Alligalli e ora siamo in due a ballare l’Alligalli. Volendo si può cercare qualcosa di più struggente rifugiandosi nel “spengono le luci, tacciono le voci”, se non fosse che “scusi, vuol ballare con me” non è proprio la domanda che ci si aspetterebbe in questo momento di solitaria drammaticità.

Già, dopo aver evocato rottamazioni, immaginato gufi, spaccato un partito, demolito la sinistra, imposto fiducie e proclamato sfiducie (le prime al Parlamento, la seconda alla Banca d’Italia) c’è qualcuno ancora disposto a ballare con lui? Non stiamo parlando di D’Alema e Speranza, ultimi bolscevichi nella foresta, e nemmeno di Bersani, ultimo romantico il cui legame con la ditta era più potente di quello di una epossidica a due componenti. No, quelli che stanno abbandonando la nave, non sono topi spaventati dall’acqua che sale, ma comandanti e ammiragli, nocchieri e timonieri, insomma gente esperta e navigata preoccupata dalla rotta imposta ed intrapresa. E il Titanic, una volta tanto, non c’entra nulla: perché il Pd, giusto per essere chiari, non è una nave che sta affondando, ma un transatlantico che ha sbagliato direzione. Si scende, non per paura di morire, ma per per timore di non arrivare. O di attraccare nel porto sbagliato.

E’ per questo, non per altro, che Romano Prodi ha rinunciato a una comoda cabina in prima classe per portare la tenda da una altra parte (anche se ancora in nessun porto). E’ per questo che Walter Veltroni, dopo avere celebrato i dieci anni del Pd nel nome dell’unità (“ma anche” dalla sinistra) si è allontanato e diviso dalla mozione di sfiducia lanciata dal Pd contro il Governatore della Banca d’Italia. E’ per questo che Napolitano, Presidente emerito della Repubblica, si è lanciato in un duro discorso al Senato dove annunciando il voto di fiducia al Governo, ha di fatto sfiduciato le ultime scelte dell’ex premier.

Ed è proprio per questo che il Presidente del Consiglio, dopo aver rischiato la faccia e il futuro in nome della fedeltà e dell’amicizia, dopo aver accettato di imporre quella fiducia che aveva promesso di non porre mai su un tema così delicato come la legge elettorale, ha deciso, confermando fiducia governativa allo sfiduciato Visco, che per una volta fedeltà e amicizia sono sì preziose, ma non al punto di minare le istituzioni in cambio di un pugno di voti e di un paio di slogan. Infine è ancora per questo, solo per questo, che la seconda carica dello Stato, dopo aver gestito in maniera istituzionale, le votazioni di fiducia sulla legge elettorale, ha scelto di togliere il disturbo, restando ovviamente presidente del Senato, ma vestendo la maglia del Gruppo Misto e non più quella del Pd. Not in my name, come si diceva una volta.

Ci sarà tempo, speriamo, per riflettere sulle ragioni che hanno portato Matteo Renzi a virare ripetutamente di bordo al punto di spingere i grandi ammiragli a salire su scialuppe e ciambelle pur di non condividere una rotta che non era più la loro. E sarebbe precoce e sbagliato affermare, come ha detto qualcuno, che il rottamatore è stato alla fine rottamato. Ma una cosa resta difficile: negare che in questo momento politico l’uomo che voleva essere solo al comando è sempre più triste y solitario, anche se non ancora final.