La “società densa”
e le sfide da vincere
dopo la crisi

« Non è una semplice crisi economica e finanziaria, ma assume connotati di crisi sociale e politica e rischia di mettere in moto, oltre a processi di devastazione economica, anche nuove forme di controllo sociale verso un processo di individualizzazione e virtualizzazione della vita umana. Molto dipenderà dalla capacità di reazione che si metteranno in moto una volta terminata l’emergenza sanitaria”. Cosi ha scritto Andrea Fumagalli sul “Il Manifesto” e credo che non si possa descrivere meglio la sfida che ci attende.

A sua volta, l’articolo di Michele Prospero, pubblicato su “Strisciarossa” ci ha offerto delle solide basi per affrontarla, questa sfida, con maggiore consapevolezza e con la giusta prospettiva storica e teorica. La questione è ,dunque, comprendere con esatezza quali siano i processi che si stanno mettendo in moto e reagire con risposte adeguate alla complessità dei problemi. La prima osservazione puo’ sembrare banale, ma credo che valga la pena ribadirla: un’analisi e una reazione di questo tipo necessitano di uno sforzo collettivo, della collaborazione di competenze e saperi diversi, di un forte “intellettuale collettivo” per usare un concetto gramsciano.

Certo, sarà anche necessario riflettere a livello individuale su cosa occorrerà modificare nei nostri stili di vita, su come riordinare le priorità delle nostre scelte, consapevoli, come ripeteva spesso Vittorio Foa, che “non si puo’ chiedere agli altri di cambiare se non sappiamo prima di tutto cambiare noi stessi”.

Era un’esigenza, in realtà, già presente prima della crisi e su cui esiste una vasta letteratura: capire, cioè, come l’intreccio di robotica, ricerca genetica e intelligenza artificiale siano in grado di modificare le forme della vita collettiva e individuale. Adesso ci troviamo di fronte a una probabile accellerazione, per fortuna non partiamo da zero, ma le punte più avanzate di quel dibattito – penso ad esempio alle ultme ricerche di Remo Bodei– devono diventare le basi di una nuova cultura politica capace di riaprire la sfida delle idee, della capacità di costruire un nuovo “senso comune” dopo anni in ccui è prevalsa una egemonia culturae e politica di destra.

Società larga e società stretta

Michele Prospero, nei suoi studi su Gramsci, ha messo sovente in luce come la sfida del “senso comune” , per Gramsci, si svolgesse sul terrreno di quella che chiamava la “densa società” Una società civile, cioè, organizzata, attiva, capace di un rapporto conflittuale con il potere politico, in cui siano possibili processi collettivi di emancipazione e di progresso sociale. Le cosidette “casematte” che caratterizzavano le società occidentali.

L’immagine di “densa società” stride con quello che si puo’ vedere dalle nostre finestre o nei pochi momenti della giornata in cui si esce. Strade deserte, l’obbligo di non avvicinarsi agli altri, l’assenza di conversazione. Proprio il tema della conversazione evoca un’altra immagine, precedente a quella di Gramsci: mi riferisco al confronto che Giacomo Leopardi , nel Discorso sopra lo stato presete dei costumi degli italiani”, istituiscetra la società italiana del suo tempo “la società larga”, e le “società strette” che caratterizzavano invece le nazioni che gli sembravano più avanzate, a cominciare dalla Francia. Una “società stretta” era appunto una società in cui era presente un’articolata e ricca società civile, capace attraverso un dibattito pubblico di stabilire nuove regole e nuovi valori su cui conformare i comportamenti individuali. La “società larga” degli Stati italiani era invece una società senza corpi intermedi tra il potere e i singoli membri della collettività, in cui i costumi, anche virtuosi, all’interno del proprio nucleo familiare,non si trasformavano in comportamenti pubblici collettivi.

Scritto nel 1824 e pubblicato per la prima volta nel 1906, il Discorso di Leopardi è un testo fondamentale se si vuole ricostruire il dibattito storico sul carattere degli italiani. Sul rapporto tra ricchezza privata e miseria pubblica, tra società civile e Stato, sulla debolezza dello “spirito pubblico”. Lo studio di Gramsci e Leopardi, tra gli altri, ci stimola a riflettere su come tali questioni abbiano preso forma nelle diverse fasi storiche della storia nazionale: un arco di tempo in cui è certamente esistita una “densa” e “stretta” società civile è stato quello dei decenni successivi al secondo conflitto mondiale, anni che si configurano ormai come l’unica vera ”parentesi” della storia nazionale del secolo scorso. Partiti di massa, sindacati, associazioni cattoliche e laiche, una spinta dal basso all’autorganizzazione, movimento delle donne e studentesco,tutti elementi importanti di una società civile capace d’influenzare la politica e la vita della nazione. Una vitalità politica a cui ha corrisposto, in un rapporto virtuoso, una ricchissima attività artistica, si pensi al cinema e alla letteratura degli anni sessanta e settanta, per fare un solo esempio. Un movimento di massa unito da un “senso comunecondiviso: la necessità di estendere e rafforzare l’uguaglianza all’interno della società.

In questi giorni è stato tante volte ricordato come in quel contesto sia nato il Servizio sanitario nazionale. La memoria di quei decenni, i loro insegnamenti sulle cose positive fatte e sugli errori commessi, il ricordo delle forze e degli interessi che già allora tramarono per interrompere quel ciclo di riforme – quando la parola riforma coincideva ancora con la conquista di un nuovo diritto e non con il peggioramento delle condizioni di vita, come è avvenuto negli ultimi decenni- saranno tutti elementi decisivi perché la reazione alla crisi di oggi possa essere all’altezza della complessità dei problemi che ci stanno di fronte.