La Sea Watch viola il blocco
Dalla parte di Carola in nome dell’umanità e del diritto
“Ho deciso di entrare in porto a Lampedusa. So cosa rischio ma i 42 naufraghi a bordo sono allo stremo. Li porto in salvo”. Questa frase pronunciata dalla comandante Carola Rackete spiega perfettamente e con estrema semplicità il senso della vicenda della Sea Watch (qui), che ieri ha violato il blocco entrando in acque italiane in nome dell’umanità e del diritto internazionale. A bordo ci sono delle persone che stanno sopportando da due settimane tremende sofferenze, dopo aver subìto violenze, stupri, mutilazioni, ricatti e minacce nei centri di detenzione in Libia sui quali il governo italiano continua a far finta di non sapere e, prima ancora, le pene di viaggi della disperazione in mezzo al deserto. Queste persone debbono essere accolte, curate, assistite.
Chi lo impedisce non commette soltanto una crudele ingiustizia ma viola lo spirito e la lettera di precise e cogenti norme del diritto internazionale e del diritto marittimo sancito da convenzioni firmate da tutti gli stati civili del mondo. E contro questa ingiustizia e contro questa violazione della legalità internazionale è lecito ribellarsi. Si chiama disobbedienza civile e fa parte del patrimonio giuridico della nostra civiltà, tanto da essere codificata anche nelle costituzioni di diversi stati.
Tirata d’odio
Questo ha fatto Carola Rackete. Ha violato una legge italiana promulgata con un decreto governativo sul quale pesa un evidente sospetto di incostituzionalità e si è detta pronta ad assumersene le responsabilità. Non fugge: è lì, a bordo della sua nave e basta solo andare a prenderla.
In una delle sue tirate d’odio su facebook (che ormai sostituisce i canali normali e democraticamente controllabili della comunicazione istituzionale, e anche questo è un problema) il ministro di tutti i ministeri Matteo Salvini la chiama “sbruffoncella”, insinua vigliaccamente che è pagata “da qualcuno”, la minaccia di pene severissime e chiede polemico perché non sia stata ancora arrestata. Lo faranno, probabilmente, nelle prossime ore, e verrà accompagnata in carcere dalla solidarietà di tutte le persone per bene cui ripugna la propaganda d’odio del ministro della Paura e che, per fortuna, sono ancora una maggioranza nel paese.
Ma la vicenda della Sea Watch non è affatto conclusa. Salvini ha messo in scena una specie di “casus” diplomatico con i Paesi Bassi, al quale il ministro degli Esteri si è prestato un po’ incautamente incaricando l’ambasciatore all’Aia di protestare con il governo. E poi sprezzantemente ha sostenuto che i profughi, una volta sbarcati, vengano inviati subito “metà ad Amsterdam e metà a Berlino”, minacciando, se non se li prendono di “disobbedire all’Europa” e non identificare più i migranti che arrivano in Italia, che così potrebbero proseguire indisturbati verso altri paesi. Insomma, faremo la guerra a tutti.
Ma è anche possibile che Salvini ora pretenda che i 42 poveretti che sono a bordo ci restino anche quando la nave sarà ormeggiata alla banchina. Così potrà continuare a recitare la sua farsa dei “porti chiusi”. I porti non sono affatto chiusi, perché non si può chiudere il mare, e proprio a Lampedusa ce ne sono testimonianze quotidiane. Solo negli ultimi due giorni sono più di duecento i profughi approdati sull’isola con piccole imbarcazioni provenienti dall’altro lato del Mediterraneo. E ogni giorno sono migliaia i migranti che entrano in Italia via terra, attraverso i tanti canali in cui si articolano le rotte della disperazione.
Guerra alle ONG

Ma questi al ministro non interessano. A lui, adesso, importano solo i 42 poveri cristi della Sea Watch perché è alle ONG che deve fare la guerra, sono le ONG il nemico pubblico verso il quale indirizzare l’odio, le ansie, le frustrazioni che alimentano il suo potere. E sono anche il pretesto per tenere in piedi un’emergenza-migranti assolutamente inesistente nelle cose ma utilissima per stornare l’attenzione dell’opinione pubblica dai guai dell’economia e dai durissimi tempi che si stanno avvicinando.
In questo schifo Salvini non è solo. In un patetico tentativo di recuperare, in ritardo, visibilità rispetto al prorompente protagonismo dell’alleato-nemico Luigi Di Maio prima addossa tutte le responsabilità all’altro (“noi non abbiamo né il ministero dell’Interno né quello degli Esteri né quello dei rapporti con l’Europa, altrimenti proporremmo corridoi umanitari e rimpatri a tutto spiano”) ma poi se la prende anche lui con le ONG, et pour cause considerato che il “la” alla campagna contro le organizzazioni non governative lo dette a suo tempo proprio lui con la sua sparata sui “taxi del mare”. Ci aggiunge di suo, il capo dei Cinquestelle, un tocco di teoria del complotto evocando il fantasma di Soros come ispiratore e finanziatore delle torbide manovre contro l’Italia a base di orde di migranti usate come bombe umane.
Delegazione della sinistra
Bisognerebbe che qualcuno indagasse su come sia nata questa mania persecutoria incentrata su un vecchio magnate ebreo che vive in America. Una ossessione che sta dilagando da Budapest a Roma passando per la Casa Bianca di Donald Trump. Ma torniamo a Lampedusa e alla Sea Watch. Ieri sera sull’isola a portare solidarietà ai profughi e anche a Carola Rackete è arrivata una delegazione di tutti i partiti di sinistra e poche ore prima Nicola Zingaretti aveva chiesto un “colloquio urgente” con il presidente del Consiglio Conte denunciando la persecuzione dei naufraghi usati come ostaggi dal governo e la strumentalità delle accuse di Salvini alle ONG.

Un chiaro segnale, finalmente, di presenza e di schieramento e, almeno implicitamente, anche di riparazione del fatto che la politica degli accordi con la Libia per limitare le partenze fu iniziata, come si sa, da un ministro del PD. E forse anche di resipiscenza sul voto con cui una parte del gruppo democratico alla Camera, giorni fa, ha pensato bene di votare a favore della prosecuzione degli accordi con Tripoli.
Insieme con la “sbruffoncella” comandante della Sea Watch, la propaganda di Salvini e di Maio mette sotto accusa “l’Europa”, che continua a disinteressarsi del fatto che i migranti arrivino prevalentemente da noi.
Nessuno dei due accenna al fatto che mentre si crea un caso megagalattico sul possibile sbarco di 42 poveri cristi dalla Sea Watch, non solo ci sono migliaia di sbarchi e di arrivi via terra non “gestiti” dalle ONG ma negli aeroporti italiani atterrano ogni giorno centinaia di migranti, i cosiddetti “dublinanti”, che, poiché a suo tempo erano approdati in Italia, ci vengono rispediti dalla Germania e dall’Austria in base al protocollo di Dublino. Proprio quello che il premier Conte si rifiutò di mettere in discussione in un memorabile Consiglio europeo in cui l’Italia fece maggioranza assieme ai paesi sovranisti di Visegrád. Dopo di che Salvini è stato assente a sei su sette riunioni dei ministri dell’Interno Ue dedicate proprio ai problemi dell’immigrazione.
Equivoco sull’Europa
La polemica contro l’Europa si fonda comunque su un equivoco che forse non è dovuto solo alla crassa ignoranza delle persone che attualmente sono al governo ma è anche voluto. Se per “Europa” si intendono la Commissione e il Parlamento europeo l’accusa è del tutto ingiustificata. Queste istituzioni non hanno alcuna competenza in fatto di migrazioni. E non le hanno perché i governi nazionali si sono sempre opposti ad affidarle loro. È l’Europa dei governi quella che ha lasciato sola l’Italia a gestire l’immigrazione, e lo ha fatto proprio in obbedienza ai principi del sovranismo, con gli amici di Salvini del gruppo di Visegrád in prima fila ma certo non soli. Sarebbe bene che la distinzione fosse ben chiara, anche nelle consapevolezze delle sinistre.
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