La scienza è un bene pubblico e sociale. Un libro di Fabrizio Rufo
La pandemia da Covid-19 ha lasciato il segno non solo perché ha causato quasi 7 milioni di morti nel mondo, non solo perché ha messo in discussione alcuni modelli di assistenza sanitaria, non solo perché per combatterla abbiamo assistito alla messa a punto di vaccini in tempi mai sperimentati prima e alla realizzazione di utili per le industrie farmaceutiche mai vagheggiati, non solo perché ha creato uno tsunami informativo senza precedenti che ha travolto la popolazione, ma anche perché ha mostrato in modo eclatante l’importanza ma anche la difficoltà dei rapporti tra scienza e decisione politica e tra scienza e società.
E’ per questo che il libro di Fabrizio Rufo (“Scienza e bene pubblico”, Donzelli editore, pp.128 euro 17,00), docente di bioetica e di etica dell’ambiente e della sostenibilità alla Sapienza Università di Roma, ci sembra uscire nel momento giusto. Proprio oggi infatti – alla fine di una crisi sanitaria, ma mentre se ne aprono molte altre che investono il clima, l’ambiente, l’uso dei dati e mentre si aspetta la prossima pandemia – è necessario ricordare, come fa Rufo, che la scienza è un bene pubblico e quindi deve essere condivisa, diffusa, partecipata.
I diritti di cittadinanza scientifica
Sono anni che si parla dei diritti di cittadinanza scientifica e il nostro amico e collega Pietro Greco aveva fatto una lunga battaglia per il loro riconoscimento, scrivendone spesso anche su Strisciarossa. Rufo riprende il punto: “Se ci soffermiamo sulle reazioni suscitate da temi quali i trapianti di organi, la fecondazione assistita, il genoma editing, la biologia sintetica, le sperimentazioni, l’utilizzo congiunto di big data e intelligenza artificiale, le nanotecnologie, gli stessi criteri allocativi delle risorse sanitarie, possiamo notare che essi richiedono, per il loro impatto etico-sociale, un ampliamento degli spazi di partecipazione democratica, quello che la studiosa di Harvard Sheila Jasanoff chiama ‘epistemologia civica’”.
Il nodo di questa fase storica, dunque, è definire uno spazio di partecipazione per l’opinione pubblica per la soluzione di problemi (compresi quelli ambientali e climatici) che non possono essere risolti solo dagli scienziati o solo dai politici. Anche perché non affrontare questa domanda di inclusione può favorire il nascere e crescere movimenti di opinione che possono sfociare in posizioni antagoniste alla scienza stessa, come abbiamo visto più volte nel corso della storia degli ultimi decenni.
Da Giovanni Berlinguer al Gruppo operaio omogeneo
Rufo inquadra il problema da un punto di vista teorico e poi utilizza due capitoli per raccontare due storie italiane che, in qualche modo, hanno anticipato la discussione attuale: la prima è quella che riguarda il lavoro di Giovanni Berlinguer, la seconda è quella che riguarda il rapporto tra salute e lavoro nel nostro paese. In entrambi i capitoli troviamo spunti per ragionamenti validi ancora oggi e il racconto di esperienze spesso dimenticate ma fondamentali, come quella del Gruppo operaio omogeneo, una realtà nata su proposta della Camera del lavoro di Torino che realizza, negli anni Sessanta, quella che potrebbe essere letto come un antefatto della citizen science, ovvero una forma di produzione di conoscenza realizzata attraverso la partecipazione attiva dei cittadini, in questo caso gli operai.
Roma, città della scienza
Il libro di Rufo si chiude con un capitolo dedicato a Roma, città della scienza. Anche in questo caso si parte da un progetto, quello tante volte sognato e finora mai realizzato di un museo della scienza nella capitale ma che oggi sembra più vicino, per parlare di cittadinanza scientifica. Il museo della scienza di Roma, del cui comitato scientifico fa parte Fabrizio Rufo, potrebbe contribuire alla formazione di una intelligenza collettiva in grado di affrontare problemi globali come la migrazione, il cambiamento climatico, la trasformazione del lavoro.
Per questo “il primo passo da compiere è quello di costruire una rete di inclusione basata sul public engagement, grazie alla quale diventa possibile muovere verso la cittadinanza scientifica”. Ovvero, attivare forme di cooperazione virtuosa tra esperti e non esperti.
Oggi all’Istituto Gramsci di Roma, via Sebino 43, alle 17,30, Fabrizio Rufo parlerà di questi temi con Eugenio Lecaldano e Elena Gagliasso, un’occasione da non perdere per chi è interessato alla scienza e alla democrazia che, come ricorda Rufo, si basano sugli stessi valori: “fedeltà alla ragione e all’argomentazione; trasparenza sui criteri di giudizio e di decisione; apertura alle critiche; scetticismo rispetto ai valori dominanti ma indiscussi; volontà di dare spazio alle voci dissidenti, valutandone la validità; disponibilità a riconoscere le incertezze; atteggiamento critico di fronte alle autorità indiscusse; attenzione ai problemi di legittimazione e giustizia; equità nella comunicazione”.
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