La Russa e Meloni, una strategia contro la Resistenza. E contro la storia
Non era un lapsus, un passo falso involontario quello di Giorgia Meloni sulle Fosse Ardeatine, qualche giorno fa, quando disse che i morti barbaramente uccisi e nascosti – quella non si può dire sepoltura – lo furono in quanto italiani. Non fu un errore, ma una strategia.
Lo dimostra l’ultima esternazione di Ignazio Benito La Russa su via Rasella, anche questa tesa a rovesciare la storia. A via Rasella “I partigiani uccisero dei musicisti pensionati. Pagina ingloriosa”. Da cui si desume che se si faceva parte del battaglione Bozen, all’epoca, si andava in pensione a trent’anni e armati fino ai denti. No, La Russa, non erano pensionati, era un corpo militare e guerreggiante: lo affermò il comunicato del comando tedesco di Roma occupata: quella era “una colonna tedesca di Polizia in transito per via Urbana”. Ma, a pochi giorni dal 25 aprile, questo è il secondo cannoneggiamento della storia, quella vera, di quegli anni.
Menzogne contro la Resistenza
Si potrebbe dire invece che è inglorioso sputare menzogne sulla Resistenza, sei mesi dopo aver giurato fedeltà alla Costituzione, che da quella Resistenza è nata. Ma la fedeltà e la lealtà di La Russa sono riservate forse ad altro, ai suoi busti di Mussolini.
E’ vero, questa volta almeno non hanno ritirato fuori la leggenda dei partigiani vigliacchi che non ebbero il coraggio di consegnarsi. Andò avanti per decenni, e bisognò leggere, e rileggere e rileggere il comunicato tedesco che dava insieme la notizia dell’attacco a via Rasella e l’annuncio della rappresaglia 1 a 10, oltre alla nota: “questo ordine è già stato eseguito”.
Morso dopo morso, passo dopo passo, si cerca di demolire la Resistenza e la lotta di Liberazione. Non fu una pagina gloriosa, dice La Russa. Che cosa è glorioso in guerra? Lo furono i bombardamenti alleati su San Lorenzo e sui quartieri popolari? Lo sono quelli ucraini verso le postazioni russe, quelli russi verso gli ucraini? La guerra è un orrore, gli atti di guerra lo sono. Quello che è inglorioso, invece, è non schierarsi, accucciarsi e aspettare che passi la buriana per poi riacchiappare i posti di prima. Questo fecero molti italiani.
Però ci fu chi, dopo l’8 settembre, non scelse l’indifferenza. Si organizzò, scelse la sua parte e, sì, imbracciò le armi contro l’occupante tedesco. C’erano due Italie, una ha scelto la Resistenza, l’altra l’occupante tedesco e la Repubblica di Salò. Mentre il ministro Buffarini Guidi e il prefetto Caruso stilavano volenterosamente gli elenchi dei condannati a morte alle Ardeatine – occhio, erano italiani – c’era chi, anche lui italiano, rischiava la vita per nascondere militari ricercati, per procurare loro, in tempo di razionamento, cibo e vestiti borghesi, così da dismettere l’uniforme per poter fuggire.
La memoria delle Fosse Ardeatine
Però le parole di Meloni e La Russa, ricorda Sandro Portelli, autore di “L’ordine è già stato eseguito“, sono preziose, “Ci aiutano a capire che le Fosse Ardeatine sono ancora una memoria insopportabile e vergognosa per gli eredi dei carnefici. Per generazioni, hanno sparso menzogne cercando di infangare i partigiani e giustificare i nazisti; adesso Meloni prova maldestramente a disinnescarla in nome dello ius sanguinis della nazione”.
Tra i morti delle Fosse Ardeatine c’erano 39 ufficiali, sottufficiali e soldati della Resistenza militare, moltissimi del Partito d’Azione e Giustizia e Libertà, del Movimento comunista d’Italia, Bandiera Rossa e delle Brigate Garibaldi del Pci. 75 ebrei, alcuni massoni, alcuni detenuti comuni.
I volenterosi italiani, aiutanti dei boia nazisti
C’era il generale Giuseppe Cordero Lanza di Montezemolo tra i morti alle Ardeatine, va ricordato a La Russa che non è degno nemmeno di pulirgli le scarpe. Pluridecorato nella I guerra mondiale, quando Roma fu occupata dai tedeschi diventò il comandante del Fronte militare clandestino, che riuniva tutti i militari rimasti fedeli al re. Perché lui nelle mani del re aveva giurato, e per lui i giuramenti erano cose serie, mica atti formali: quelli di chi giura sulla costituzione nata dalla Resistenza, ma poi quella Resistenza vorrebbe cancellarla, vero La Russa? Il generale fu poi catturato per delazione di una spia, italiana.
C’era don Piero Pappagallo, cappellano militare alla Cisa Viscosa di Roma che, ancora il fascismo imperante, cercò di difendere gli operai più vessati e malpagati dello stabilimento. La direzione lo fece rimuovere, il suo vescovo non lo volle ascoltare. Aiutò e ospitò militari stranieri in fuga. Fu catturato per la delazione di una spia, italiana.
C’era Pilo Albertelli, filosofo liberale e uno dei fondatori del Partito d’Azione, partigiano. Fu catturato per la delazione di una spia, italiana.
C’era Ferdinando Agnini, studente diciannovenne, che fondò insieme a Gianni Corbi, Nicola Rainelli e Orlando Orlando Posti, l’Arsi (Associazione Rivoluzionaria Studentesca Italiana), a Montesacro, un gruppo guerrigliero molto attivo. Gianni Corbi sfuggì, ma i suoi compagni furono catturati per la delazione di una spia, italiana.
C’era Gioacchino Gesmundo, iscritto al Pci clandestino, a casa sua c’era la redazione dell’Unità clandestina. E molti sacchi di chiodi a quattro punte, pronti ad essere lanciati sotto i copertoni tedeschi. Torturato per un mese, non parlò.
Erano molti gli italiani che combatterono contro i fascisti e contro i tedeschi. E la Resistenza non fu un monolite. Certo, c’era il Cln che teneva le fila, ma poi, sotto il terreno, c’era un ricco intrico di radici che si intrecciavano, che lavoravano insieme, che si scambiavano informazioni vitali e armi.
La grande storia, le piccole grandi storie
Ho avuto il privilegio di accompagnare, qualche giorno fa a Roma, due classi di studenti delle superiori in una passeggiata sulle orme del libro “La storia nelle strade. Pigneto ’44, Ribelli”, Redstarpress editore, curato dal centro di documentazione “Maria Baccante”, Archivio storico Viscosa. La passeggiata seguiva le pietre d’inciampo, le targhe storiche e quelle moderne sulle case dei resistenti, i segni della storia. Ho raccontato vite di tredici partigiani, persone comuni che hanno vissuto nel quartiere. Alcuni erano operai alla Viscosa, alcuni sono morti nei campi di concentramento, altri alle Fosse Ardeatine e, sì, tra loro c’è anche don Piero Pappagallo, cappellano alla Viscosa.
Giaime Pintor, nell’ultima lettera al fratello Luigi, ha scritto: “A un certo momento gli intellettuali devono essere capaci di trasferire la loro esperienza sul terreno dell’utilità comune, ciascuno deve sapere prendere il suo posto in una organizzazione di combattimento… Musicisti e scrittori dobbiamo rinunciare ai nostri privilegi per contribuire alla liberazione di tutti”. I partigiani del Pigneto, le radici della lotta di liberazione, non avevano privilegi e non erano intellettuali, ma persone comuni, per lo più poverissime: ma, come a Giaime Pintor, anche a loro è parso necessario impegnarsi, ognuno come ha potuto e saputo, tutti rischiando la vita. Scegliendo da quale parte stare, e per quale Italia combattere.
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