La rotta balcanica bloccata in Val di Susa

Le immagini dei due corpi che precipitano dall’aereo in volo e partito da Kabul risvegliano in chi le guarda, comodamente seduto sul divano di casa propria, un sentimento di commozione, così come quelle delle persone assiepate nelle strade o nell’aeroporto della capitale afghana. Mettiamo che qualcuno di loro ce la faccia, riesca a fuggire a piedi, in barca, con mezzi di fortuna, attraversi valichi di frontiera, superi ostacoli e paure, finalmente giunga in Europa, la patria dei diritti umani, pensi di avere acquisito automaticamente anche il diritto all’accoglienza in quanto rifugiato… e invece no, non è ancora finita. Lo status di rifugiato non è sufficiente, perché per molti sei un clandestino e, in quanto tale, non meritevole di cure e assistenza, nemmeno se sei un bambino, o una donna, magari incinta, o sei bisognoso di assistenza medica. Le cose negli ultimi tempi sono addirittura peggiorate per i migranti, in molti casi rimangono i volontari e le associazioni a prendersene cura.

Il sistema di accoglienza è collassato

E’ emergenza, ad esempio, nel sistema di accoglienza alla frontiera Nord Ovest, nella Valle di Susa. I Medici per i Diritti Umani, che monitorano incessantemente le condizioni dei profughi provenienti dalla rotta balcanica e in transito verso la Francia, parlano di un prossimo “collasso programmato che si scarica soprattutto sui più vulnerabili”. Le criticità rilevate sono diverse e concomitanti, purtroppo. Sul versante italiano, “Fraternità Massi”, l’unico rifugio rimasto attivo dopo la chiusura della casa cantoniera occupata, ha lavorato per mesi a ritmi serratissimi, anche 24 ore su 24, con conseguenti sovraffollamento e rischi sanitari. Adesso non riesce più a garantire l’accoglienza necessaria, anche perché attende il finanziamento di un progetto già approvato e altri fondi promessi dalle istituzioni. Da luglio rimane aperto solo dalle 18:00 alle 9:00.

Intanto, per evitare di lasciare in strada durante il giorno bambini, donne, uomini, a Claviere un campeggio di attivisti era stato trasformato in presidio con cucine e supporto medico, grazie anche al contributo di No Nation Truck, un collettivo che aiuta i rifugiati ai confini europei con infrastrutture mobili. La successiva occupazione non è durata nemmeno una settimana

Inoltre, altro fatto che denuncia Medu è il clima di criminalizzazione della solidarietà, reso evidente dai ripetuti controlli da parte delle forze dell’ordine sia sugli attivisti che sui migranti, cosa, quest’ultima, sicuramente regolare, ma mai accaduta prima con tale intensità.

Sul versante francese, poi, la situazione è ugualmente cambiata, in quanto le Refuge solidaire è stato sfrattato dalle istituzioni: era arrivato ad avere fino a 100 presenze al giorno e non era più possibile garantire nemmeno le necessarie misure anticovid.

Piero Gorza, attivista e referente di Medu, ci racconta, in particolare, di una famiglia afghana proveniente da Kabul. Il papà aveva dovuto vendere tutto per portare via la famiglia. Faceva il poliziotto al confine con il Pakistan e, siccome collaborava con gli americani, aveva subìto un attentato. Si era salvato, ma aveva ancora schegge nel torace. Un altro caso che ricorda Gorza è quello di un padre arrivato ad Oulx con la figlia a marzo scorso, parlava perfettamente la nostra lingua, per sette anni aveva lavorato come traduttore con il contingente italiano. Era partito in tempo. Qui era diventato un clandestino e non aveva intenzione di fermarsi in Italia.

“Si sta arrivando al collasso, una situazione veramente difficile, al limite della gestibilità. – afferma Piero Gorza – E’ il caso di denunciarlo perché qualcuno se ne dovrà fare carico”.