La radio rurale di Kayes, una scuola
a distanza di dignità e sviluppo
Il Mali è uno dei paesi più poveri al mondo, eppure è ricco di giacimenti di oro e diamanti ha la seconda diga in Africa per portata d’acqua (un miliardo e mezzo di metri cubi), possiede migliaia di ettari di terreno irriguo. Come gli altri Paesi subsahariani, è interessato dal fenomeno dell’emigrazione, soprattutto giovane, verso l’Europa, attraverso la rotta del deserto, poi la Libia, infine il Mediterraneo.
Intorno agli anni ‘80, la regione di Kayes, al confine con Mauritania, Senegal e Guinea, era stata colpita dalla siccità decennale che aveva flagellato il Sahel., mentre al suo interno, la circolazione diventava più difficile durante la stagione delle piogge. Non esisteva altro mezzo di informazione oltre a quello governativo. Pensare per una simile realtà a una radio libera sembrava un’utopia. Tuttavia una Ong italiana, dopo accordi non facili col governo locale, riuscì a essere pioniera in questo settore: il primo agosto 1988 iniziò le sue trasmissioni la RRK, la Radio Rurale di Kayes, il cui primo direttore fu Felice Spingola, un economista che si occupa da oltre trent’anni di cooperazione internazionale in Africa.

Per convincere il Ministero dell’Amministrazione Territoriale dell’epoca, la radio fu presentata come un mezzo non politico, come uno strumento alla stregua di un aratro, una canoa o un asino: “permetteva di raggiungere il villaggio, di mettere in contatto con i genitori, gli emigranti. Era, insomma, una vera radio rurale, di e per i contadini”, ricorda Spingola.
La radio come scuola
Il governatorato mise a disposizione un terreno e un edificio in disuso, furono formati gli operatori, tra cui ex studenti, insegnanti, artisti, venne bandito un concorso per la scelta del nome e gli ascoltatori suggerivano persino i valori che la radio dovesse condividere: fratellanza, dignità, pazienza, speranza, attraverso lettere scritte a mano che facevano recapitare in redazione. Nei programmi si parlava di agricoltura, bestiame, pesca, di società e cultura, si davano consigli di vita pratica, si veicolavano informazioni. Una cosa chiamava l’altra e, piano piano, prese forma un significativo processo di alfabetizzazione a distanza e di partecipazione anche femminile. Da quella esperienza nacquero altre radio ma RRK, supportata dall’Unesco, sopravvive grazie a un comitato sorto in Francia.
Alla radio rurale seguì un altro progetto importante, la realizzazione di tre laboratori di trasformazione dei prodotti agricoli. “Il Mali è quattro volte più grande dell’Italia, a fronte di una popolazione di circa 20 milioni di abitanti, concentrati per lo più lungo i fiumi Senegal e Niger, e in prossimità della grande diga. La regione di Kayes – sostiene Spingola – ha un potenziale enorme. Ciò nonostante il 40% dei suoi prodotti marcisce nei campi, perché mancano gli strumenti e le tecniche di trasformazione e conservazione. Proprio a tale scopo, è nato un centro di formazione professionale, frequentato per l’85% da donne”.
L’ultimo golpe
Spingola in tutti questi anni ha conosciuto diversi leader politici, ha visto avvicendarsi presidenti e colpi di stato, conosce bene la complessità di quel Paese, ha seguito la formazione di una intellighenzia sempre più refrattaria ai vincoli imposti dalla Francia o dall’UE: “Quello che è accaduto in questi giorni (un colpo di stato militare, ndr) – dice – era nell’aria da anni, era evidente già nel movimento sorto contro il franco cfa. Dal Mali amici mi dicono che l’ultimo golpe ha l’appoggio della maggior parte della popolazione e il sostegno delle nuove generazioni insofferenti al vecchio Paese coloniale. Al momento, i golpisti dicono di essere determinati ad andare avanti, puntano a una transizione, a elezioni trasparenti, alla lotta alla corruzione, all’indipendenza economica”. L’esito naturalmente è incerto, anche se i maliani pare abbiano buone capacità di mediazione, che potrebbero scongiurare il peggio.
Sulla pelle degli africani si continua a giocare una partita pesante. Ai vecchi paesi coloniali se ne affiancano di nuovi. Di sicuro, però, esperienze come quella della Radio Rurale di Kayes indicano che un processo di liberazione autentica parte dal basso. Le trasmissioni sono principalmente nelle lingue locali (soninké, bambara, kassonké, poular) e non a caso all’inizio si tentò in ogni modo di farle realizzare nella lingua coloniale.
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