La protesta francese
è la vittoria dei sindacati
sul “metodo Macron”

Se lo sciopero del 5 dicembre doveva stabilire i rapporti di forza tra il governo francese e i sindacati, è indubbio che si è risolto in un successo per questi ultimi.

Al di là del rituale confronto tra le cifre: un 1.500.000 per la CGT, 850.000 per il Ministero degli Interni. È evidente che si è trattata di una delle più grandi manifestazioni degli ultimi decenni. Una mobilitazione che ha coinvolto l’insieme del corpo sociale; un autentico moto popolare che, al suo interno, riflette una notevole varietà. La grande sorpresa è venuta dall’Educazione Nazionale: una scuola su due in tutto il Paese è rimasta chiusa e agli studenti dei licei si sono uniti quelli delle università; alla SNCF [l’azienda pubblica francese di trasporto ferroviario, ndr] non hanno scioperato soltanto i ferrovieri ma anche il 30% dei quadri amministrativi e il traffico è praticamente sospeso sino almeno a lunedì. Significativa è stata anche la partecipazione degli avvocati e di varie altre categorie di liberi professionisti.

Il settore privato è sceso in piazza accanto a quello pubblico. Uno sciopero, insomma, che ha unito il mondo del lavoro, le generazioni e i territori: proprio questa ultima caratteristica è stata una delle ragioni del suo successo. Non c’è stata, infatti, soltanto la grande manifestazione di Parigi, ma cortei ovunque, in tutte le province, e in molte città il numero dei manifestanti ha sorpreso pure gli organizzatori. I centri urbani e le periferie, le regioni più ricche e le zone povere, le due Francie che si manifestano sovente divise al momento del voto, hanno aderito alla protesta in nome della stessa parola d’ordine:”non ci fidiamo più”.

Si potrebbe, però, avanzare obiezioni a uno sciopero indetto contro una riforma di cui non si conosce ancora il testo. Su questo punto l’ambiguità del governo sembra essere stata punita: il metodo degli annunci, delle dichiarazioni, ritardando la presentazione del progetto, se voleva appunto evitare una possibile reazione negativa, ha avuto l’effetto contrario. Le inchieste di opinione rivelano come la maggioranza dei francesi sia convinta della necessità di una riforma, ma anche delle ragioni dei sindacati. L’ambiguità non ha fatto altro che aumentare l’inquietudine e non è possibile ragionevolmente mettere mano a così tanti regimi pensionistici diversi senza una concertazione con le forze sociali, gli imprenditori e i lavoratori.

Il 5 dicembre ha segnato la rivincita dei sindacati contro il metodo Macron. Appena eletto, nel 2017, pur disponendo di una larga maggioranza parlamentare, il nuovo Presidente ha scelto di utilizzare i decreti legge per far approvare le sue prime riforme, impedendo un vero dibattito parlamentare. La volontà era quella di dimostrare che avrebbe governato senza tenere conto degli equilibri dei corpi intermedi, esibendo un decisionismo rapido contro la pratica del dialogo sociale. È un metodo che ha fallito di fronte ai gilets jaunes e oggi Macron si trova nella difficile situazione in cui se, da un lato, rinunciasse a ogni tipo di riforma, firmerebbe il fallimento generale del suo progetto politico, ma se, dall’altro, decidesse di imporsi con la forza, sicuramente ne pagherebbe un prezzo politico altissimo. Per questa ragione il governo ha annunciato che da lunedì riaprirà le negoziazioni con i sindacati e sempre nella giornata di lunedì dovrebbe essere reso pubblico il rapporto sulla cui base definire la riforma.

Il dibattito politico e sindacale avviene in un contesto di grandi tensioni. In questi giorni è stato pubblicato uno studio dell’INSEE (l’Istituto nazionale delle statistiche e degli studi economici), Portrait social (=”ritratto sociale”), da cui emerge con chiarezza il fossato che separa due visioni della società francese. Se i dati sulla mobilità sociale e il livello di vita dimostrano un netto miglioramento della condizione dei francesi dalla fine degli anni Settanta (il 68% degli uomini e il 71% delle donne hanno una situazione sociale migliore rispetto a quella dei loro genitori), negli ultimi anni, però, l’ascensore sociale è significativamente rallentato per quello che riguarda gli uomini. Le diseguaglianze, comunque, sono diminuite e il rapporto mostra chiaramente l’efficacia redistributiva del sistema sociale e fiscale francese.

Malgrado ciò, però, prevale un sentimento di forte pessimismo: i francesi sono convinti che i loro figli avranno un avvenire meno buono rispetto a quello che loro hanno conosciuto e sono persuasi che il livello di vita sia destinato inevitabilmente a peggiorare. Una convinzione che ha conseguenze nefaste sul dibattito politico; in cui le paure vengono cavalcate per fini elettorali invece di essere affrontate razionalmente. Vi sarebbero, infatti, le condizioni per l’azione di un dirigente politico che sappia fare un discorso di verità e, promuovendo il dialogo sociale e il coinvolgimento di tutti i settori della società, spieghi la necessità di utilizzare le risorse disponibili per diminuire le diseguaglianze restanti.

Le centinaia di migliaia di persone che hanno manifestato il 5 dicembre hanno, al contempo, lanciato un grido di allarme e dimostrato la volontà di volere impegnarsi direttamente e collettivamente. I prossimi giorni ci diranno se sono stati ascoltati.