La politica del capro espiatorio
e la sinistra incapace
I prossimi mesi diranno se abbiamo a che fare con un governo effimero, destinato ad essere presto travolto dall’impossibilità di tenere a lungo in armi la propria tribù, grosso modo la tesi di Peppino Caldarola. Ma la maggioranza leghista-pentastellata potrebbe fare danni gravi anche se non durasse per il tempo della legislatura. Ne ha tutta l’intenzione, e non è detto che al suo eventuale sfaldarsi l’Italia sarebbe ancora in grado di rimbalzare. Nel breve periodo chi può fermarla? Se crediamo ai sondaggi, escludendo la destra subalterna alla Lega i partiti di opposizione oggi conterebbe nemmeno per un quarto dell’elettorato; e il loro trend è negativo. Inoltre Salvini presto avrà a disposizione un arsenale. Incasserà la riconoscenza dell’amministrazione Trump, che nelle parole dell’ambasciatore americano a Berlino intende rafforzare (‘empower’) i partiti sovranisti sabotatori dell’Unione. Eserciterà un certo controllo sull’informazione televisiva, oggi in gran parte perplessa o neutrale. Potrà contare, se deciderà di farne uso, sulla fattiva disponibilità di un vasto settore delle forze dell’ordine, da tempo collegato alla Lega e al suo gruppo parlamentare: inclusa la gente di mano, per intenderci, che si presentò come sappiamo sulla scena nel G7 di Genova.
Infine, la maggioranza dispone di un’arma strategica finora sottovalutata: la versatilità e l’efficacia nel produrre capri espiatori. Qualunque disastro combinasse ne attribuirà la colpa ai misteriosi poteri forti, Soros, i nazisti di Berlino, i satrapi di Bruxelles, il formicolare di anti-patrioti, le losche ong del mare, l’occhiuta globalizzazione, perfino l’establishment, che in Italia vuol dire il Quirinale e poco altro. Quanto più tutto peggiorasse, tanto più la catastrofe comproverebbe l’estensione e la malignità del complotto anti-popolare. Fandonie non credibili? E perché non dovrebbero convincere quel vasto segmento di opinione pubblica disposta a fidarsi di un ministro dell’Interno che deride come ‘croceristi’ i poverini costretti alla roulette russa della traversata del Mediterraneo?
Per spiegare perchè il mitico Popolo rinneghi la propria natura democratica con orientamenti così feroci, la sinistra ha elaborato due diversi esorcismi.Il primo traduce in un modo bizzarro lo schema di classe: a rifiutare i migranti sarebbero le fasce più povere e meno istruite, e ad accettarli gli abitanti di belle case, questi ultimi tolleranti perché esentati dalla convivenza con stranieri importuni e importunatori. A sua volta la sinistra radicale ritiene che il Popolo sia stato ingannato dal capitale globalizzato, che per scongiurare guerre di classe avrebbero artatamente innescato guerre tra poveri. Ai primi si potrebbe obiettare che i migliori esempi di integrazione vengono da quartieri popolari, e l’unico striscione di solidarietà con lo sparatore di Macerata è apparso a Roma in un quartiere di belle case. I secondi dovrebbero convincersi che, ricco o povero, un razzista è un razzista, così come un vigliacco è un vigliacco quale che sia il suo censo. Ma la questione è un’altra: non ha senso chiedersi se la favolistica sui migranti sia prodotta dall’ignoranza o dall’inganno, per il semplice fatto che il capro espiatorio sfugge al criterio vero/falso.
Più esattamente la sua identità reale, il suo grado di innocenza parziale o totale, è secondario rispetto alla funzione che gli viene attribuita. Per quanto non amasse gli ebrei Mussolini sapeva benissimo che il razzismo è un’idiozia. Nel 1932 non solo dava atto che “gli ebrei italiani si sono sempre comportati bene come cittadini e come soldati”, ma addirittura rifiutava il razzismo con parole inequivoche (nei Colloqui con Ludwig: “Io non crederò che si possa provare che una razza sia, più o meno, pura… L’orgoglio nazionale non ha affatto bisogno dei deliri della razza”); e contemporaneamente affidava lo strategico ministero delle Finanze ad un imprenditore ebreo fascista della prima ora, Guido Jung. Appena sei anni dopo Mussolini trasforma quei “bravi italiani” in agenti dell’”ebraismo mondiale… un nemico irriconciliabile del fascismo”, da combattere con “una chiara, severa coscienza razziale che stabilisca non solo delle differenze, ma delle superiorità nettissime”. La contraddizione è plateale ma irrilevante rispetto ai motivi interni e internazionali per i quali diventa vantaggioso discriminare gli ebrei anche sapendoli del tutto simili agli altri italiani.

Allo stesso modo, aderire alla narrazione dei migranti croceristi o invasori (certi capri espiatori si somigliano: anche La Difesa della Razza, parlava di “invasione ebraica”) non vuol dire necessariamente crederla, se non nella misura conveniente a dotarsi di un Nemico predestinato alla sconfitta; sbertucciare una classe dirigente che ignora i tuoi problemi, anzi sottrae a te quel che spende per gli stranieri; segnalare alla tribù che sei uno di loro. E onorare il Capo: si crede in Salvini, non a Salvini, quel che dice è lo squillo di tromba all’inizio della carica, non un discorso da prendere alla lettera.
Ma per quanto esentato dal corrispondere a dati di fatto, il capro espiatorio non può essere scelto in modo del tutto arbitrario: per grandi linee dev’essere coerente con strutture concettuali largamente diffuse e in certa misura convalidate da intellettuali. Il migrante invasore da fermare sul bagnasciuga è una fabbricazione ottenuta da materiali preesistenti: il culturalismo, l’identitarismo, lo scontro tra civiltà, le ossessioni maccartiste per gli ‘islamici’, l’Eurabia della Fallaci, Finkielfraut, la cesaristica (o almeno il valore risolutore del Capo, di cui ha scritto Paolo Soldini), quel tribalismo solito a rappresentare l’avversario come portatore di una colpa collettiva, insomma affabulazioni che, egemoni nella destra, circolano anche nel centro e nelle sinistre. Ormai pienamente legittimate, partecipano al discorso pubblico incoerente e rumoroso che funziona bene nei talk-shows. La loro trasversalità è evidente soprattutto nelle propensioni estere – la solidarietà verso il nazionalismo etnico al governo in Israele, omertosa quanto lo fu un tempo la tolleranza garantita all’antigiudaismo palestinese; un cinismo da quattro soldi spacciato per realismo, indifferente ai diritti umani; la sostanziale continuità, nelle politiche sull’immigrazione, tra il salvinismo e il suo antecedente perbenista, il minnitismo. Un’opposizione magari decisa a mimare le politiche ‘popolari’ dei cinquestelle ma incapace di liberarsi di queste contaminazioni, di immunizzarsi producendo sistemi di idee fieramente alternativi, si sottrarrebbe al passaggio fondamentale per tentare la rivincita: fare i conti “con la radicalità della sconfitta” (così Adriano Prosperi, se non ne tradisco il pensiero). E sarebbe presto costretta a convenire che, come tutte le parole che hanno troppi e contradditorii significati, anche ‘sinistra’ può finire in soffitta.
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