La piazza rianima la sinistra ma le prove cruciali iniziano ora
La piazza del ritrovato orgoglio democratico è un buon segno – parziale quanto si vuole – per l’opposizione e la sinistra del nostro Paese. Comunque la si pensi, un Pd moribondo o peggio estinto, avrebbe l’effetto di consegnare l’Italia alla peggiore destra chissà per quanti anni. Non è un caso se Salvini e Di Maio hanno indicato e continuano a indicare quel partito come il principale nemico, alla pari dei migranti e dell’Europa, e ad attribuirgli tutti i mali possibili, persino l’impennata dello spread.
Anche la piazza dell’associazionismo anti-razzista di Milano è un buon segno: c’è una opposizione civile che non si arrende alla barbarie e alla regressione culturale che Lega e 5 Stelle stanno imponendo al Paese, spesso nell’imbarazzato silenzio o addirittura nel sostegno (vedi Confindustria) delle elites sociali e intellettuali.
Ora il punto è riuscire a unire quelle due piazze, farle parlare, superare i pregiudizi e le incomprensioni che ancora permangono. Rivitalizzare una opposizione, rimasta a lungo sotto choc dopo la batosta del 4 marzo. Ma soprattutto cominciare a ricostruire un’alternativa a tutti i livelli: nelle città, nel Paese, in Europa.
Questo è un compito che spetta soprattutto alla politica e chiama in causa direttamente il Pd. La manifestazione di Roma ha offerto un segnale di vitalità del suo “popolo” e per un giorno, di responsabilità del suo gruppo dirigente davanti alla richiesta urlata di “unità”. Ora vengono altre prove, certo più impegnative: dal congresso, alle elezioni europee del prossimo maggio. Non sarà come le altre volte, e non è solo un modo di dire. Il congresso cade nella fase più drammatica del riformismo in Europa, anzi in tutto il mondo: travolta dalla globalizzazione, dalla crisi economica e da un capitalismo sempre più avido (per citare la citazione applauditissima fatta in piazza da Martina a proposito del discorso di Jeremy Corbin al congresso laburista), messa all’angolo dall’irrompere della destra populista e sovranista, la sinistra è ancora in cerca di un solido profilo identitario, che superi sì l’approccio novecentesco ma anche le tentazioni neo-liberiste di questi anni. Quando nacque si disse che il Pd era il soggetto più adatto per compiere questa impresa perché univa al riformismo classico di matrice socialista quello cattolico e l’ambientalismo. Ma l’amalgama – per usare un’altra citazione – non è mai riuscita. O meglio, l’impresa non è stata neanche tentata, con gruppi dirigenti troppo impegnati a navigare nella quotidianità e a volte nelle furbizie correntizie, e a sbarrare di fatto un vero rinnovamento.
L’intreccio della scadenza congressuale con il voto europeo di fine maggio è a questo punto ancora più evidente. E la discussione avviata nelle file democratiche sul come presentarsi agli elettori in Italia e anche negli altri Paesi, denota se non altro la consapevolezza di un passaggio storico drammatico. Consegnare l’Europa agli anti-europei, sarebbe una sconfitta difficilmente rimediabile nel breve e nel lungo periodo. Da qui la proposta di un largo fronte europeista che vada da Macron al Pse a Tsipras: ma è una scelta da valutare a fondo, considerata anche la proporzionalissima legge elettorale europea che scoraggia cartelli ed alleanze.
Si vedrà ora se si riuscirà ad affrontare la questione, come tutte le altre, in modo da evitare nuove divisioni eclatanti o addirittura scissioni. Già nelle prossime settimane, con la convention organizzata a Roma, dal candidato alla leadership Zingaretti e poi con la Leopolda renziana, si capirà se l’appello all’unità di piazza del Popolo sarà ascoltato. Quel che è certo è che dalle piazze di Milano e Roma c’è una sinistra che torna in campo. Con tutti i suoi limiti e i suoi problemi, ma con una grande voglia di riappropriarsi del suo spazio. Il grande inganno mediatico su un governo in cui convivrebbero una destra leghista e una “sinistra” grillina, è stato defintivamente svelato. E’ solo destra, e anche la peggiore.
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