Il prima è il problema:
ripensare tutto
su scala planetaria

Cosa si spreme dal semplice, ferale dato che l’Italia, paese di 60 milioni di abitanti, ha inoculato appena un milione e 400.000 dosi anti-Covid in più del Marocco, dove vivono 36 milioni di persone? Si deduce che fattori esterni purtroppo ben noti, dai ritardi nelle consegne di vaccini alla ormai chiara guerra delle forniture su scala mondiale, trovano un ottimo moltiplicatore in un Paese di poteri frammentati e superfetazioni degli stessi. Ma non è proprio detto che siamo messi così peggio di altri. Un po’ sì, è sicuro.

Falle e inceppi

Un aereo è un sistema molto complesso, interrelato dentro (motori, carburante, sanificazione dell’aria, livelli di sicurezza) e fuori (enti regolatori, torri di controllo, normative generali). Ma vola ed è statisticamente assai improbabile che non riesca a stare in aria per il tempo desiderato. Decollare con un pilota esperto, un Draghi, è un plus a favore, se però il sistema ha falle o inceppi o peggio ancora – ad esempio resistenze occulte -, questo sistema, che nella sua composizione è il risultato di funambolici concrescimenti legislativi e burocratici, produce obbligatoriamente falle e inceppi. Vedi il caos in Lombardia, l’eterno Sud etc. e l relativo sbiadirsi della favola bella sull’Italia che dà il meglio nelle emergenze. Se mai è successo, da tempo non è più così, lo insegna oggi la pandemia, lo hanno detto ieri i terremoti in sequenza dall’Aquila in poi. Nessun deus ex machina ci ha mai salvato e, attenzione, mai ha salvato altri Paesi europei.

L’assenza di prevenzione

La scienza, dei disastri e delle epidemie, insiste sulla obbligatorietà della prevenzione, del monitoraggi. Nei cassetti, noi e gli amici europei, abbiamo conservato e mantenuto ben chiuso il Piano Pandemico, ovvero i piani nazionali di “preparazione e risposta a una pandemia influenzale” che recepivano le indicazioni dell’OMS, l’Organizzazione Mondiale della Sanità. Per il periodo di latenza che intercorre tra una pandemia e l’altra (è così, sarà così sempre, cominciamo a convincerci), il Piano ha pagine e pagine dedicate alle misure appropriate da prendere per controllare una possibile “trasmissione dell’influenza pandemica in ambito ospedaliero”, rifornirsi di mascherine, tute e farmaci con apposite, preveggenti negoziazioni (presente il balbettìo europeo sui contratti di fornitura dei vaccini in piena emergenza?). E quindi arrivano le prescrizioni per il successivo periodo di allerta, quindi per quello pandemico e si raccomanda di tutelare il personale sanitario, dai laboratoristi ai medici. Zero. In casa nostra e non solo abbiamo visto trincee con gli eterni, eroici fantaccini. Un Piave sanguinoso con ondate Covid che si attenuano e riattaccano con maggiore virulenza. Un continuo tentativo di riparare l’aereo in volo.

Ma, Piano Pandemico negletto a parte, poteva andare diversamente? Vediamo l’Italia. Si tratta del ben noto Paese delle commissioni ad hoc, dei relativi commissari e super commissari spesso con le stellette, dei comitati e delle innumerevoli Agenzie. L’Aifa (Agenzia del farmaco, ben utile e funzionante, vivaddio), l’Agenzia per l’Italia Digitale (c’è il sospetto che quando tentavamo di far partire Immuni, stesse guardando da un’altra parte), l’Agenzia per la coesione territoriale (con lei adesso siamo più tranquilli), la strepitosa Agenas, Agenzia Nazionale per i Servizi Sanitari Regionali. E qui drizziamo le orecchie. L’Agenas, forte di 46 dipendenti-funzionari supporta, d’istituto, il Servizio Sanitario Nazionale e i sistemi sanitari regionali, si occupa di monitoraggio, valutazione, innovazione. No, perché piangete? Risolleviamoci il morale col suo organigramma qui pubblicato, tenendo a mente che la linea tratteggiata indica un “legame funzionale tra due posizioni senza gerarchia”, mentre quella continua si riferisce a un “legame verticale o orizzontale con gerarchia”. Siamo tra il Buzzati del “Deserto dei Tartari” (solidarietà al tenente Dogo, in qualunque punto dell’organigramma Agenas si trovi) e l’azione parallela di Musil.

Il solito “italian job”

Ora, visto che abbiamo riformato nel 2001 il titolo V della Costituzione, con tutte le autonomie concesse in lungo e in largo, non possiamo non rendere un omaggio all’Aria, l’Azienda regionale lombarda per l’innovazione e gli acquisti, appena bombardata dal fuoco amico del governo regionale dopo aver inanellato figuracce da podio olimpico. Aria, un potere decentrato (come tanti altri) tradotto in potere disseminato, vagante tra plurimi livelli di controllo-approvazione e, secondo logica, non governante, inutile e molto costoso. Poteva andare diversamente? No. Si dice: la Francia ha uno stato centrale forte, ha l’Ena, l’École Nationale d’Administration, fabbrica di funzionari di Stato basata su merito e selettività, risorse (le borse di studio sono ottime e abbondanti), concorsi aperti al mondo per attrarre i migliori. La Francia ha questa idea bizzarra che il dirigente pubblico crei “profitto sociale” e non sia una sorta di privilegiato-raccomandato avido di mostrine grazie a cui privatizzare a fini personali una carica pubblica. E noi? Abbiamo la Sna, Scuola Nazionale dell’Amministrazione, che seleziona e forma funzionari e dirigenti per la pubblica amministrazione. Quindi selettività per essere ammessi? Il giusto, in certi casi le prove selettive si possono saltare e via così. Il solito italian job.

La normalità è il problema

Però. Però poi è arrivato il Covid ed è stata una livella. Contagi a valanga in Francia, ondate insidiose in Germania con annesse topiche di Angela Merkel (chiudo tutto? non chiudo?). Il frutto di un evento previsto ma enorme, tragico, nuovo e però maneggiato con idee vecchie, con strutture pubbliche operative di controllo e contrasto gestite con criteri obsoleti o meglio inadatti, impreparati alla valanga Covid, quasi senza tecnici capaci di formulare progetti sostenibili e successivamente di renderli operativi dirigendoli secondo le migliori pratiche ben note a qualsiasi grande impresa mondiale. Una pandemia, globale come l’economia, perfettamente contemporanea, davanti alla quale il software dei vari Stati europei ha fatto tilt: il settore industriale privato, per contro, si è modernizzato a forza per competere su scala mondiale e infatti sono spuntati vaccini a tempo di record grazie alla sinergia col mondo delle università. Il Regno Unito, dopo mesi terribili, ha sfruttato la Brexit giocando da sola – e con poco fairplay – la partita dell’immunizzazione di massa, mentre l’Europa ha provato a far squadra nelle panie di leggi fondamentali complicate e inibenti. Sarebbe in fondo rassicurante potersela prendere esclusivamente con noi, i soliti italiani. Non va più così, non andrà più così. Il mondo ha guardato la pandemia con occhi diventati ipso facto vetusti davanti al dilagare dei contagi. Erano gli occhi di un mastodontico sistema complesso votato agli scambi planetari e allo sviluppismo a oltranza. Ma non bastano più le tecnologie e le virtù della concorrenza a mostrarci la buona strada. Sogniamo la normalità, un “prima” che invece è il problema più grande. Il Covid 19, col suo salto di specie, ha cambiato tutto e pretendere di uscirne senza modificare le cause che ci hanno portato al crash pandemico è pura follia.

L’agenda veramente cruciale porta scritto acqua, cibo sostenibile, aria, contenimento delle megalopoli, difesa della diversità biologica e rispetto dell’ambiente, della terra e di chi la calpesta, fossero anche popolazioni più deboli e indifese. Siamo tornati, con tutta la nostra velenosa grandeur, all’essenziale dei primordi, al problema numero 1 della razza umana: sopravvivere. Programma attuabile con una piena coscienza della nostra interdipendenza, dalla Groenlandia all’Australia. Gli scienziati lo spiegano da più di mezzo secolo: la Natura lancia i suoi ammonimenti, vedi i mutamenti climatici. I virus sono con lei da sempre e aspettano buone occasioni per replicarsi. Continuando sulla solita strada, ne forniremo di ottime e a cadenze sempre più ravvicinate.

Organigramma Agenas