Lezioni sul fascismo di Togliatti,
perché parlano alla sinistra di oggi
Siamo nel 1970. Ernesto Ragionieri, nel corso delle sue ricerche per l’edizione delle Opere complete di Togliatti di cui è il curatore, rintraccia negli archivi di Mosca il testo delle lezioni tenute nel 1935 alla vigilia del VII Congresso dell’Internazionale comunista, dedicate all’analisi degli “avversari” (fascisti, socialdemocratici, massimalisti e repubblicani, anarchici) e trascritte da uno degli allievi della scuola per i quadri italiani emigrati in Unione Sovietica, allora diretta da Giuseppe Berti.
Ragionieri vede immediatamente come le lezioni dedicate al fascismo costituiscono un contributo rilevante nell’analisi di quel regime con elementi di grande novità rispetto al dibattito che fino al 1935 aveva caratterizzato la discussione nell’Internazionale nel tormentato passaggio dalla politica di “classe contro classe” e del “socialfascismo” a quella dell’unità d’azione con i socialisti e dei fronti popolari. Alcune delle lezioni di Mosca relative al fascismo sono pubblicate prima su Critica marxista e poi nella loro interezza nella veste qui riproposta (…).
Strumenti per l’oggi
Perché, dunque, dopo un così ampio e accurato lavoro storiografico che copre i decenni riproporre ora, dopo cinquanta anni, la prima edizione delle Lezioni sul fascismo e la Prefazione di Ernesto Ragionieri? Per la funzione che questa pubblicazione ebbe all’epoca in cui vide la luce, e per la lezione che si può trarre per l’oggi.
Quella edizione, infatti, si colloca nel pieno di un passaggio d’epoca nella storia del nostro Paese e in quella mondiale, simile per portata e profondità a quella che da un decennio, dopo la crisi del 2007, stiamo attraversando.
Tra il 1968 e il 1970, infatti, per reazione all’onda dei movimenti che sconvolgono dalle fondamenta gli equilibri emersi nel secondo dopoguerra, si gettano le basi di quella rivoluzione neoconservatrice che segnerà i tratti del quarantennio successivo. Entrano in crisi sia i rapporti tra politica e società, tra lo Stato e le masse, che caratterizzano l’assetto delle democrazie occidentali, sia quelli che segnano le società nate dall’estensione del modello sovietico su scala mondiale dopo gli accordi di Yalta e la vittoria della rivoluzione guidata dal Partito comunista in Cina nel 1948.
Il rapporto tra Stato e masse organizzate
In Italia in particolare l’analisi del fascismo e del regime che si costruì attorno alla sua presa del potere diventa la ricerca delle origini di quel rapporto tra Stato e masse organizzate che, sul terreno democratico, caratterizzerà poi i trenta anni successivi alla seconda guerra mondiale, in quella che Scoppola chiamerà la «Repubblica dei partiti» (…)

Alla vigilia degli anni Settanta del secolo scorso tale rapporto tra politica e masse che, in una certa misura, la repubblica aveva ereditato dal fascismo costituiva il terreno su cui si pensava si potesse operare un ulteriore avanzamento democratico della vita politica del Paese. Era questo l’intento della ricerca parallela e a tratti convergente di Berlinguer e Moro, tesa a un’evoluzione del sistema politico che desse piena cittadinanza al protagonismo di masse che si erano prepotentemente imposte sulla scena politica e sociale alla fine degli anni Sessanta. La ricostruzione di Togliatti dei caratteri del fascismo costituiva in quel contesto una potente lezione di metodo nella sua capacità di scavare nel rapporto tra masse e politica(…).
L’evoluzione del sistema democratico
Il fatto che, per usare la formula di Enrico Berlinguer, si pensò che ci si trovasse nel pieno di «una nuova tappa della rivoluzione democratica e antifascista» capace di produrre un ulteriore avanzamento democratico del rapporto tra Stato e masse organizzate indusse a privilegiare nell’analisi delle lezioni togliattiane l’elemento di ricostruzione organica dei caratteri del regime fascista, in altri termini della sua coerenza interna.
È questa attenzione al rapporto organico tra masse e Stato, figlia dei problemi relativi all’evoluzione del sistema politico democratico, che d’altra parte si sarebbe rivelata drammatica e tormentata con la strategia della tensione e il delitto Moro, che può costituire la spiegazione di un fatto singolare che caratterizza l’intera riflessione storiografica sull’analisi del fascismo avanzata da Togliatti nelle lezioni di Mosca. Nella sua introduzione Ernesto Ragionieri per indicare la novità dell’analisi togliattiana del fascismo afferma che essa contribuisce a ricostruire l’originalità di tale movimento politico in quanto artefice di un inedito «regime reazionario di massa», categoria che egli affianca a quella di «analisi differenziata», che costituisce in verità il tratto caratteristico dell’analisi dei processi politici e sociali da parte di Togliatti in tutto l’arco della sua attività intellettuale e politica (…).
L’analisi differenziata
Ora, se si mette tra parentesi la lettura delle lezioni attraverso la categoria del «regime reazionario di massa», che tanta fortuna ha avuto nel dibattito storiografico di decenni, e invece le si esamina prevalentemente alla luce dell’altra categoria suggerita da Ragionieri nella sua prefazione, quella cioè dell’«analisi differenziata», vediamo più agevolmente che l’assillo politico che attraversa le Lezioni sul fascismo non è tanto quello di aggiornarne l’analisi in termini sistemici, ma quanto quello di coglierne l’evoluzione diseguale e soprattutto di analizzare le contraddizioni interne che si aprono nelle formazioni create dal regime per organizzare in forma subalterna agli interessi delle classi dominanti le masse che a partire dal dopoguerra avevano fatto irruzione sulla scena politica.
Dai sindacati al dopolavoro, di cui si sottolinea la novità e l’originalità quale istituto di organizzazione del tempo libero, la ricostruzione togliattiana del carattere di massa del fascismo si sofferma soprattutto nell’indagine dei suoi tratti contraddittori e conflittuali, nell’individuazione dei varchi che si aprono per l’azione da compiere all’interno delle organizzazioni di massa del regime ai fini di una loro scomposizione (…).
Lezione di metodo
Ora rileggere le lezioni togliattiane sul fascismo nell’ottica della categoria dell’«analisi differenziata» può costituire una potente lezione di metodo rispetto ai problemi che oggi si presentano di fronte a una sinistra ridotta ai minimi termini, come del resto lo era quella travolta dai movimenti reazionari di massa tra le due guerre mondiali. Adesso come allora siamo di fronte a tendenze inedite che indicano un prevalere a livello di opinioni pubbliche di orientamenti reazionari, catalogati con una certa approssimazione come “populismi” o “sovranismi” in ascesa.
Essi sono il frutto del fatto che, soprattutto a partire dalla crisi del 2007-2008, il processo di globalizzazione dell’economia è apparso nella sua vera natura, non tanto di unificazione dell’economia mondiale, ma di feroce competizione fra Stati a dimensione continentale per il primato nella nuova divisione internazionale del lavoro, dove a partire dalla Cina sono emersi nuovi soggetti che hanno segnato la fine irreversibile del primato dell’Occidente negli equilibri e negli assetti del mondo.
Siamo, per paesi come l’Italia, nel pieno di una crisi organica che, per le interdipendenze sempre più strette con il sistema mondo, non può avere una soluzione solo sul piano nazionale e che sottopone i diversi sistemi politici a passaggi traumatici e ad esiti inediti. Per una sinistra, sia pure messa ai margini e ridotta al lumicino, come del resto lo erano i comunisti italiani nel pieno del regime fascista, il metodo dell’«analisi differenziata» capace di cogliere e di intervenire nelle contraddizioni dell’avversario nel suo rapporto con vasti strati del popolo è una lezione valida soprattutto per l’oggi.
La visione alternativa
Certamente un tale approccio analitico e le modalità dell’agire politico che ne derivavano non si trasformavano in Togliatti in una riduzione della politica rivoluzionaria a tattica senza prospettive, a scelte di manovra politica prive di un progetto, perché alle spalle vi era il ruolo dell’Urss e l’indicazione di marcia che la vittoria del socialismo, sia pure in un solo paese, indicava all’intero movimento. In genere si considera il “legame di ferro” che Togliatti ha permanentemente avuto con l’esperienza sovietica in tutte le sue fasi come una pura scelta dettata da una sorta di realismo politico, da una presa d’atto dei rapporti di forza da cui non si sarebbe potuto prescindere, del tutto estraneo al fatto che egli fosse con Mao, benché in tutt’altra direzione, il più grande innovatore del comunismo del Novecento.
Ma, a mio parere, non è così. Quel legame stava a dimostrare l’attualità di un processo di transizione in atto verso un diverso assetto economico e sociale che costituiva la prospettiva irrinunciabile per l’agire politico di una forza di sinistra.
È l’assenza di punti di riferimento strategici e di una funzione di portata storica, di una visione alternativa dell’assetto del mondo, che espone ciò che resta della sinistra oggi al rischio dell’irrilevanza. Ma ciò può rendere anche più stringente la ricerca di quella nuova e inedita prospettiva rivoluzionaria (nel senso di un rovesciamento radicale del rapporto tra “governanti” e “governati”) che lo stato delle cose richiede.
Anticipazione dall’introduzione di Piero Di Siena alle “Lezioni sul fascismo” di Palmiro Togliatti, Editori Riuniti
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