La “manovrina” M5S-Pd
mentre s’avanza
il nuovo Ghino di Tacco

La prima manovra finanziaria del governo Conte-bis, sostenuto dalla nuova maggioranza M5S-Pd più Liberi e Uguali e gli scissionisti di Matteo Renzi, è di circa 30 miliardi di euro. Una cifra rilevante che potrebbe far pensare a una legge di Bilancio di forte sostegno all’economia. In realtà non si va lontano: è una proposta debole, certo insufficiente per invertire il ciclo economico (lo stesso esecutivo prevede una crescita del Pil dello 0,6%, quasi niente), per fronteggiare decisamente le diseguaglianze e le crescenti disparità di reddito e di condizioni di vita tra gli italiani.

Il governo ha certo qualche giustificazione: l’ibrida maggioranza tra grillini e democratici si è appena formata, la Nota di aggiornamento del Def è stata preparata in pochissimo tempo, tensioni e veti non sono mancati. Ne esce, inevitabilmente, una proposta fiacca.

Il prezzo della flessibilità

I 30 miliardi di uscite sono così divisi: in larga parte sono destinati a sterilizzare l’automatico aumento dell’Iva per il 2020 (circa 23 miliardi per il 2020, ma ce ne sono 28 da trovare per l’anno successivo), altri 7 miliardi finanziano una riduzione del cuneo fiscale (circa 2,7 miliardi) che dovrebbe rafforzare le buste paga, poi ci sono sgravi per le imprese, gli incentivi Industria 4.0 e sostegni alle famiglie.

Come si coprono queste spese? La parte del leone sono i 14,4 miliardi di “flessibilità” che la Commissione Ue ci dovrebbe concedere per restare in un rapporto deficit/Pil del 2,2%. Se chiamiamo con il loro nome le cose è necessario dire che questi 14,4 miliardi sono una stangata che cade ancora sulle spalle dei cittadini, nessuno ci fa regali e prima o poi i debiti vanno pagati. Pesano soprattutto sui giovani che pagano il maggior debito futuro e la riduzione della quota destinata al taglio del cuneo e alla creazione di nuova occupazione.

Il peso di quota 100 e reddito di cittadinanza

Poi il governo conta di recuperare 7,2 miliardi dalla lotta all’evasione, altri 2,8 dalle privatizzazioni, un paio di miliardi dalla proroga dell’imposta sostitutiva sulla rivalutazione di terreni e partecipazioni, 1,8 miliardi di risparmi sulla spesa pubblica, altrettanti da nuove entrate di carattere ambientale.

La coperta per l’Italia è comunque corta, un po’ perché bisogna mantenere le due iniziative-simbolo della precedente maggioranza (quota 100 per le pensioni, reddito di cittadinanza) che non vengono toccate dal nuovo governo, un po’ perché il recupero di altre risorse è legato alla prospettiva di un’azione di contrasto all’evasione fiscale, una delle piaghe storiche del nostro sistema, che ha bisogno di tempo per produrre risultati se realizzata con coerenza e senza sbandamenti.

In questo ambito il governo ha pensato interventi per favorire l’uso delle carte di credito e allargare i sistemi di pagamenti digitali, ipotizzando un cash back per i cittadini che rinunciano all’uso del contante e anche una lotteria premio ogni blocco di scontrini. Tutto è possibile, ma se davvero il ministro Gualtieri è preoccupato perché il Paese deve pagare il “conto del Papeete” forse sono necessarie politiche più incisive in campo fiscale ed economico.

La debolezza italiana

Le condizioni dell’economia restano incerte e questa situazione aggiunge ulteriori problemi per le scelte del governo. La linea della Bce, con la nuova stagione del quantitative easing e dei tassi di interesse a livelli bassissimi, è un fattore di grande aiuto, ma l’Italia deve fare i conti con la minaccia dell’introduzione di nuovi dazi americani sull’importazione di prodotti agroalimentari che colpirebbe duramente uno dei nostri punti di forza.

Inoltre il nostro tessuto industriale soffre in questo momento della flessione dell’industria dell’auto tedesca che ha colpito in misura sensibile alcuni distretti della componentistica tra Milano, Brescia e Torino. Il clima generale, insomma, non induce a grandi slanci di ottimismo e appaiono un po’ di maniera gli impegni dichiarati del governo per un New Deal ambientalista, con investimenti ipotizzati di 50 miliardi, quando il decreto ambiente contenente misure “urgenti” per affrontare i cambiamenti climatici non è stato ancora varato.

L’ago della bilancia

Il quadro politico, comunque, offre sempre delle sorprese. Non ci si annoia. Dopo l’uscita di Renzi dal Pd ora l’attenzione è concentrata sulla capacità di attrazione di Italia Viva che starebbe conquistando grillini ed esponenti di Forza Italia. Il cambio di casacca continua e il fenomeno del trasformismo apre una nuova pagina dove scompaiono i confini tra sinistra e destra.

Il banco della legge di Bilancio è esemplare. Renzi e i suoi si vantano di aver bloccato un aumento selettivo dell’Iva ipotizzato da Gualtieri che avrebbe consentito di recuperare qualche miliardo per gli investimenti o un più forte taglio del cuneo. In pratica Renzi ha dimostrato qual è e quale sarà il suo ruolo: essere l’ago della bilancia di qualsiasi maggioranza, mantenere la golden share da esercitare quando meglio crede per creare o disfare i governi. Il politologo Piero Ignazi vede qualche similitudine con Bettino Craxi e immagina la comparsa di un Ghino di Tacco sulla scena politica. A volte ritornano.