Silenzio sull’evasione fiscale: non porta voti

Mettetevi nei panni di un evasore fiscale. Scegliete a caso: un commerciante avido, un imprenditore poco scrupoloso, un professionista furbo. Sentono, a destra e a manca, gli slogan elettorali che promettono “meno tasse per tutti”. E allora ciascuno di questi che in teoria calpestano una legge, compiono un reato, si sente liberato da un affanno. Le tasse se le annulla da solo, senza aspettare che le promesse divengano realtà. Hanno nelle orecchie le affermazioni di Silvio Berlusconi, scopiazzate purtroppo anche dal centrosinistra: “Se lo Stato ti chiede più di un terzo di quanto guadagni, c’è una sopraffazione nei tuoi confronti e allora ti ingegni a trovare sistemi elusivi o addirittura evasivi”. E’ una tesi che purtroppo sta diventando senso comune. E’ come dire che i responsabili dell’evasione fiscale non sono gli evasori stessi, bensì, appunto, le tasse troppo alte. Basterà ridurle e gli evasori non avranno bisogno di evadere. Anche se, come qualcuno ha ricordato, la storia del nostro Paese è fatta anche da una serie di “condoni” che non sono serviti a debellare la fuga dagli impegni fiscali.

Resta il fatto che la vistosa e chiassosa corsa a promettere “meno tasse” nasconde un contrapposto glaciale silenzio. Quello sull’andamento dell’evasione fiscale, un morbo che fa deperire la nostra economia. C’è chi ha ricordato cinicamente il detto di un consigliere di Ronald Reagan: “La lotta a chi froda non porta voti anzi li fa perdere”. Mentre su “Repubblica” il tributarista Raffaello Lupi, docente a Tor Vergata, ha spiegato come la denuncia dell’evasione “farebbe perdere i voti di coloro che vengono indicati come colpevoli e non farebbe guadagnare i voti di coloro che non sono interessati al tema perché, lavoratori dipendenti e pensionati pagano direttamente sullo stipendio”.

Un tale silenzio colpevole è stato però interrotto nelle ultime ore da un organismo tecnico. L’”Ufficio valutazione impatto” del Senato della Repubblica, insieme al dipartimento di Economia dell’Università Cà Foscari di Venezia, ha reso noto uno studio. Esso denuncia, a proposito di evasione fiscale, 132 miliardi di redditi Irpef nascosti, con una perdita di gettito superiore a 38 miliardi l’anno. Ha osservato sul “Corriere della sera” Nicola Saldutti come gli interessi sul debito pubblico “si aggirino intorno ai 70 miliardi di euro ogni anno. Mentre l’evasione fiscale, secondo alcune stime, è pari a circa 120 miliardi”. Viene da pensare che se tale evasione venisse arrestata si potrebbero fare tante cose, come correggere la riforma Fornero o agevolare gli investimenti per creare produzione e lavoro, senza allarmi per il debito pubblico.

Sarebbe anche opportuno, quando si parla di fisco affrontare i problemi reali che spesso tormentano i cittadini. Senza indugiare, come ha osservato Salvatore Padula su “Il Sole 24 ore”, nella gara un po’ confusa al chi “taglia più tasse” o, senza offese per nessuno, a “chi la spara più grossa”. Nell’elenco della campagna elettorale si cita: “via gli studi di settore e via il redditometro (peraltro, entrambi già destinati all’oblio); via i limiti all’uso del contante; via l’agente della riscossione…. via il bollo auto, ma solo per la prima vettura; via l’Irap; via il canone Rai; via le tasse universitarie; via le imposte di successione e donazione; via il balzello sulle sigarette elettroniche; via quel che resta dei tributi sulla prima casa. Mentre sempre Saldutti sul “Corriere” ha ricordato che esistono problematiche serie che dovrebbero essere affrontate. Come “le ben 610 misure che regolano agevolazioni, bonus, diritti a vario titolo. Una selva che rende complicata la vita dei contribuenti”. Ma qui la facile battuta elettorale non trova spazio.