La lezione di Gino Strada: sconfiggere le guerre con la solidarietà

Non era così vecchio, Gino Strada. Portava però con fatica i suoi anni. O almeno così pareva, a vederlo in televisione. Sembrava che fosse logorato da tutte le sofferenze del mondo e che gli fosse più difficile d’un tempo portarle sulle spalle. Perfino le sue bibliche indignazioni erano più contenute, meno gridate e più amare: lo scandalo dell’eterna e insensata coazione degli uomini a ripetere la guerra, le denunce sulle ipocrisie del potere e dei potenti, il richiamo all’etica della professione più importante del mondo, quella di salvare le vite e, finché possibile, il benessere degli altri esseri umani. L’altruismo contro la considerazione dei vantaggi, il giusto contro l’avidità degli interessi, il pubblico contro il privato e le spietatezze della logica del profitto.

Vecchio nel fisico, giovane nello spirito

L’immagine di un uomo più vecchio dei suoi anni, provato, stanco, contraddiceva, però, quello che sapevamo di lui. Sapevamo che sul campo non era vecchio, Gino Strada. Era quello di sempre: progettava, costruiva, interpretava infaticabile la missione che aveva dato a se stesso. Le parole con cui, in un’intervista di pochi giorni fa al “Manifesto” raccontava l’ultima impresa di Emergency, l’ospedale per i bambini ideato insieme con Renzo Piano in Uganda, erano quelle di uno spirito giovane, non disilluso, non stanco, attento non solo al dovere di curare ma anche al piacere, puro e disinteressato, di donare bellezza, rispondendo a un diritto quasi sempre negato agli abitanti delle zone infelici del mondo, facendone dei cittadini.

E certo non sembrava un vecchio, il fondatore di Emergency, in un bellissimo reportage che qualche anno fa i giornalisti della Rai Pablo Trincia e Francesca Di Stefano dedicarono a lui, ai suoi medici e ai suoi volontari nella loro durissima battaglia contro l’epidemia di Ebola nell’Africa occidentale. A rivederle ora, dopo il colpo della sua scomparsa, quelle immagini ci trasmettono il senso più profondo della lezione che Strada ha dato al mondo e che anche noi dovremmo raccogliere, qui, nella nostra Europa ricca e piena di sé e che pure si è scoperta fragile ed esposta al male. L’eroismo della solidarietà fatto di coraggio, certo, ma anche di disciplina, di meticolosità delle regole da seguire, delle conoscenze scientifiche da accumulare giorno per giorno, di rispetto per i corpi con la loro dignità, anche nella disperazione e nella morte.

Il destino ha voluto che la fine di Gino Strada arrivasse mentre anche per l’Afghanistan sta arrivando l’ora buia della guerra e del ritorno dell’oscuro dominio dei fanatici talebani. La mattina stessa in cui si è diffusa la notizia della sua morte sulla prima pagina della “Stampa” è comparso il suo ultimo articolo, dedicato alla “morte di Kabul”. Quella regione del pianeta è stata, forse, quella in cui si è espressa con più forza e con più coerenza la caparbia determinazione di tutto l’apparato di Emergency a far valere i propri princìpi. La cura degli esseri umani prima di ogni altra considerazione. Prima della politica, prima degli interessi, prima delle ideologie.

Il suo pacifismo radicale

Sappiamo tutti che il mondo di Gino Strada era fatto di questa sostanza: un senso di solidarietà universale radicato nella convinzione profonda dell’uguaglianza e della pari dignità di tutti gli uomini e le donne del pianeta, unito al rifiuto di tutto ciò che nega questo elementare principio di comunità, le ingiustizie sociali, le sopraffazioni, le violenze e, infine e soprattutto, la guerra. Il pacifismo di Strada, praticato faticosamente e spesso pericolosamente nei luoghi tormentati da conflitti sanguinosi, da Emergency, era radicale e, pur se assolutamente laico, aveva un carattere messianico.

Eppure, a parte qualche rara eccezione, nessuno ha mai considerato Emergency una congrega di utopisti, staccati dal mondo e dalla consapevolezza delle sue inevitabili conflittualità. Anche gli scettici più crudi, i cultori della più disincantata realpolitik hanno mostrato rispetto per quell’uomo, che pure non risparmiava critiche feroci e invettive non solo a chi le guerre le voleva ma anche a chi le tollerava, e per la sua organizzazione. Forse dietro questo rispetto, di cui tanti segni stanno arrivando anche nel dolore di queste ore, non c’era soltanto l’ammirazione per il coraggio e la coerenza di Strada e dei suoi sodali, la gratitudine per il gigantesco servizio offerto dal 1994 a tantissimi paesi tra i più disgraziati del mondo salvando dalla morte e curando almeno 10 milioni di persone, ma anche, in qualche modo, il riconoscimento, non detto, magari non ammesso neppure a se stessi, della verità che l’uno e gli altri sono andati predicando: la guerra è la negazione della civiltà umana.