La lezione del Coronavirus: più Welfare e più Pubblico

“La caduta dello Stato anoressico”: così sintetizza le conseguenze del corona virus Daniel Suhonen, guida intellettuale di “Reformisterna”, la corrente di sinistra della socialdemocrazia svedese. Oltre che restituire la parola “riformismo” alla sua dignità (riformare l’economia capitalista in senso socialista) Suhonen ci offre una definizione illuminante. Come si sa l’anoressia è una debilitante nevrosi, una lenta consunzione pur se non una deliberata uccisione. Il soggetto anoressico non si vede consumare, anzi fino a poco prima del crollo persegue livelli di magrezza vicini alla consunzione (metafora che ricorda i tagli sistematici). La realtà è che vive solo perché l’organismo ha precedentemente accumulato risorse che il comportamento anoressico non rispetta (metafora del fatto che il welfare pur tuttavia esiste).

 

Dove vola l’egemonia neo-liberale

Nonostante tutto ciò sia reso ancora più evidente dal contagio in atto, in alcuni persisterà l’illusione che basti confermare il teorema di base che abbiamo illustrato anche nella nuova situazione: una “comunità forte”, e un leader rispettato che disciplini la società al momento giusto, e tutto sarà risolto con un minimo di sanità pubblica in cui i sacrifici degli addetti meritino l’encomio. Tutta l’egemonia neo-liberale e ordoliberale ha fatto leva su ceti che ne hanno appoggiato le opportunità, o non si sono opposti, a causa di una delle qualità del welfare: una serie di servizi sanitari, educativi, di cura che consentono nuovi rischi senza necessariamente rovinarsi. Paradossalmente, in società democratiche, solo per questo i rischi e le nuove (per quanto caduche) opportunità sono state socialmente e politicamente sostenibili. E così si continua anche se lo Stato anoressico non serve in Svezia, dove il welfare svende ai profitti privati nonostante il debito pubblico sia in via di sparizione, e simmetricamente non serve in Italia, dove nonostante 1000 miliardi di attivi di bilancio il debito è tutt’altro che in via di sparizione.

In fondo, se nemmeno l’ultima grande crisi finanziaria ha condotto ad un mutamento radicale ciò è dovuto, oltre alla rigidità “pre-politica” delle regole europee, anche al fatto che la crisi non si è abbattuta su popolazioni ancora povere e poco protette come quelle degli anni 1930. Perciò, sebbene i fallimenti della attuale globalizzazione emergano chiaramente, e l’inquietudine da arretramento sociale si propaghi, esiste ancora la possibilità di illudere i meno precarizzati che, pur escludendo il senso di avanzamento sociale e civile di un tempo, il peggio sarà evitabile. La strategia dell’anoressia, condurre il welfare alla consunzione mantenendolo in vita, serve proprio a continuare con l’estrazione di valore dalla precarietà e dalla volatilità finanziaria mentre al contempo il welfare, pur sempre più ridotto, evita il disfacimento sociale, e modera (o ritarda?) il dissesto definitivo dei sistemi partitici consolidati. È la differenza fra il welfare ordoliberale UE (gerarchizzazione precarizzante ma ordinata) e quello del socialismo democratico (circolo virtuoso fra parità capitale-lavoro e alta partecipazione democratica).

 

Un modello di sviluppo inclusivo

Pensiamo alla famosa “assurdità” della dichiarazione di Lagarde. La signora, pensandoci bene, ha pronunciato le famigerate frasi perché per lei era a maggior ragione vero che, nel momento in cui il Covid 19 impazza e comporta spese aggiuntive, i debiti sovrani, a partire dal nostro, non potevano essere sostenuti. Ora qualcuno più accorto di lei ha invertito la narrazione e le misure prospettate. Tuttavia, nemmeno questo costituisce un vero mutamento: va ricordato che dal 2012 le misure di QE e di credito facilitato non sono servite a rilanciare l’economia europea in modo soddisfacente. Se inondare tutto di liquidità e potenziali di credito non ha aiutato, nel suo insieme, l’economia e il welfare europei negli ultimi otto anni come potrà ciò avvenire dopo la pandemia mondiale? Anche queste misure sono coerenti con la strategia anoressica: debilitare senza uccidere.

Ciò che dopo il colpo ulteriore del contagio potrà smuovere l’economia in modo sostenibile, e riqualificare le nostre democrazie in modo progressivo, è un modello di sviluppo dotato di inclusività e interconnesso al primato della politica. Tanto da comportare un certo grado di pianificazione socio-economica e dell’investimento: ciò che fu il fordismo democratico, e potrebbe essere domani un New Deal sociale e ambientale. Solo qualcosa di simile spingerà gli imprenditori a chiedere in prestito i soldi che le banche offriranno grazie alle varie politiche di facilitazione quantitativa e offerta creditizia prospettate dalla BCE. E solo ciò produrrà la prospettiva di buoni lavori, se possibile innovativi, per un numero crescente di persone, che quindi a loro volta spenderanno con tranquillità il proprio denaro.
In tutto questo, sarà indispensabile anche la massiccia riqualificazione di un welfare universalistico che la pandemia conferma come la più efficace, se non unica, condivisione del rischio.

 

Ecco i tre potenziali cambiamenti

Da qui discendono almeno tre potenziali di vero cambiamento.

Il primo è che il welfare come indispensabile contro i rischi comuni è confermato a contrario proprio dalle misure draconiane. Ciò perché, secondo l’azzardo “anoressico”, le strutture a disposizione sono state tagliate contando (cioè ancora una volta “saprofiticamente”, cioè grazie agli effetti virtuosi del Ssn negli ultimi decenni) su una popolazione quasi sempre sana, con famiglie perciò perlopiù in grado di supplire ad attese lunghe e/o degenze brevissime. Oggi, però, la pandemia potrebbe invitare a non ignorare i rischi “imprevedibili”, rivelando che le mancate nuove assunzioni, l’affamare la parte pubblica del welfare per nutrire quella privata, l’assenza di programmazione di lungo periodo, espongono al crollo.

Molti oggi possono meglio comprendere che è per evitare questo crollo che è occorso il blocco totale (a questo punto giusto e dovuto) della società. Perciò, sarebbe oggi più facile argomentare che un welfare ed un settore pubblico ricchi di risorse, capaci di prevenire e programmare, possono ridurre di molto i rischi e, quando si presentano, evitare il blocco totale. Si può allora evidenziare che una società con più welfare entra più ricca (con maggiori e diverse risorse) nelle crisi sempre possibili, e ne subisce meno l’impatto. Inoltre esce anche prima dalle conseguenze di questo impatto.

Il secondo potenziale di mutamento positivo è ideologico. La riforma anoressica dello Stato e del welfare è stata spesso argomentata con la necessità di temprare le persone eliminando le protezioni, soprattutto togliendole a chi “non le merita”. Ciò ha manipolato la storia dei decenni “socialdemocratici”, in cui in realtà la piena occupazione (proprio l’opposto dell’ozio da welfare) era a differenza di oggi perseguita sistematicamente. Il welfare in tutto ciò significava un’infrastruttura per cambiare, ma limitando la peggiore incertezza, cioè quella circostanza sempre più diffusa oggi che facilita lo sfruttamento.

Ad ogni modo, l’idea neo-liberale, e nella Ue ordoliberale, è rendere più arduo “meritare” il welfare. Ciò ha influito su tutti: per esempio il programma sure start dei governi Blair era finalizzato a creare opportunità per i minori in situazioni disagiate. Infatti, i minori non possono essere definiti profittatori o “non meritevoli” di welfare. Il problema è che, non facendo nulla per il mercato del lavoro precarizzante cui erano destinati sia i loro genitori sia, crescendo, i minori stessi, non si ottiene nulla nemmeno in quanto ad opportunità. Questa contraddizione è sempre più evidente, ed oggi la pandemia può aggiungersi a questa evidenza, poiché è un evento che riporta il welfare in primo piano in modo da squalificare le argomentazioni dubbie dell’ideologia morale che divide i meritevoli di welfare dagli immeritevoli. Forse siamo dinanzi alla possibilità che si dissolvano argomentazioni spesso manipolatorie, e che si rilegittimi il welfare universalistico come fondamento di una società diversa, cioè non solo solidale, ma più razionale proprio perché nemica dello sfruttamento come metodo competitivo.

Il terzo potenziale è politico: il doppio ritorno della decisione sovrana (per adottare misure emergenziali) e di nuove risorse di spesa che parrebbe affermarsi nella Ue. Forse, proprio perché il contagio rende inutilizzabili i concetti di “colpa” e “merito”, sembrerebbe tornare ammissibile persino “l’aiuto di stato” per crisi aziendali. Potrebbe precipitare ulteriormente la credibilità di parametri, vincoli costituzionali alla spesa e patti di stabilità che sono la più insidiosa e irrazionale “anti-politica”. Insomma: le nuove risorse e una nuova legittimazione della decisione democratica possono alimentarsi a vicenda, ponendo le precondizioni di “primato della politica” necessarie al cambiamento vero. A questo punto si potrebbe sfruttare lo spazio riformatore che si apre, storicamente, solo quando il capitalismo guarda dritto nel baratro a cui conducono le sue dinamiche. Nel baratro, grazie al riformismo e al non ancora morto welfare del novecento, non siamo ancora caduti come negli anni 1930. Ma ecco un quarto fattore di mutamento potenziale: una pandemia ricorda il baratro ancora più da vicino.