La Germania vira a sinistra
Spd primo partito
ma incertezza sulla coalizione
La Germania vira a sinistra. Il cancelliere che prenderà il posto di Angela Merkel è il socialdemocratico Olaf Scholz e sia la SPD che i Verdi governeranno con ogni probabilità insieme, mettendo in comune programmi che indicano svolte molto chiare in materia di politiche sociali e di radicale rinnovamento ecologico. Esistono solo due lontane ipotesi di coalizioni in cui i due partiti progressisti non sarebbero insieme: una rinnovata coalizione tra la CDU/CSU e la SPD oppure una maggioranza cosiddetta “Jamaica” formata dai due partiti democristiani, dai liberali della FDP e dai Verdi. Tutte e due, come vedremo, sono state rese molto improbabili dal netto spostamento a sinistra segnato dal voto.
Crollo Cdu/Csu

Vediamo, dunque, che cosa è uscito ieri sera dalle urne, con la doverosa avvertenza che mancano dal computo dei voti quelli, che si stima siano stati in gran numero, inviati per lettera. Gli istituti demoscopici suggeriscono comunque l’idea che i voti per corrispondenza abbiano rispettato nelle grandi linee l’orientamento espresso nelle schede infilate effettivamente nell’urna e c’è da sperare che non si siano sbagliati… Per quello che si sapeva ieri sera, la CDU e la CSU toccano, insieme, il peggior risultato della loro storia fermandosi, secondo le proiezioni, al 24,1% dei voti e vengono scavalcate dalla SPD sia in termini di percentuale (25,9) che di seggi: 200, sempre a stare ai calcoli provvisori di ieri sera, contro i 197 o 198 dell’unione dei due partiti democristiani.
Una rimonta e un sorpasso di cui s’intuiva la possibilità da tre o quattro settimane ma che sono davvero clamorose se si pensa che solo all’inizio dell’estate la forza elettorale dei socialdemocratici veniva stimata intorno al 15% e certamente inferiore a quella, potenziale, dei Verdi. Questi ultimi guadagnano tra 5,5 e 5,7 punti rispetto al risultato che avevano raggiunto nel 2017 e toccano il 14,7% con almeno 115 deputati. A Berlino, dove si votava per il governo del Land, sono andati anche meglio, superando di slancio, con quasi il 25%, i socialdemocratici che pure avevano anch’essi aumentato i voti. Bene, insomma, ma meno – ha riconosciuto onestamente la loro candidata Annalena Baerbock ammettendo qualche sua propria debolezza in campagna elettorale – di quanto avrebbero potuto fare se avessero mantenuto il trend dei mesi scorsi. Comunque un patrimonio di consensi che fa del partito l’asse inevitabile di ogni possibile costellazione di alleanze, a parte una improbabilissima riedizione della Große Koalition tra CDU/CSU e SPD.

È un ruolo di terzo (necessario) incomodo che rivendicano, dal loro non esaltante ma confortante 11,5%, anche i liberali della FDP di Christian Lindner e che invece, a causa di un arretramento che sa di sconfitta grave, sfugge alla sinistra radicale della Linke, la quale si sarebbe fermata appena sotto la soglia fatidica del 5%, perdendo più di quattro punti ma mantenendo comunque una pattuglia di una quarantina di seggi al Bundestag grazie alla clausola che vanifica la tagliola del 5% per i partiti che riescono comunque ad eleggere direttamente almeno due deputati nei collegi in cui vale il sistema maggioritario. Contorsioni della legge elettorale tedesca che fanno sì, fra l’altro, che il numero dei seggi del Bundestag non sia fissato una volta per tutte ma possa aumentare, come dovrebbe succedere anche in questa occasione, in cui la maggioranza si fisserebbe a 397 deputati (ma a chi ne fosse interessato lo spiegheremo un’altra volta).
L’ultimo partito della scena tedesca, quello degli estremisti di destra di Alternative für Deutschland, ha perso due benedetti punti percentuali rispetto al 2015 pur se il suo 10,4% conferma l’esistenza di uno zoccolo di irriducibili outsider della democrazia e del buon senso. I quali sono comunque del tutto isolati e resi inoffensivi dal sistema dei partiti democratici, salvo qualche periodica tentazione di corteggiare le viscere del loro elettorato che comunque può costare molto caro, come hanno potuto sperimentare in passato i cristiano-sociali bavaresi. Razzisti, xenofobi, negazionisti e simili non hanno patria nella politica della Germania federale. Altrove, sappiamo, non è così.
Incertezza sulla coalizione

Ma se il risultato delle elezioni è chiaro, sul governo che ne scaturirà si resta nel campo delle ipotesi e tutte si presentano abbastanza complicate. Un elemento di incertezza, che rischiava di confondere ulteriormente il quadro, è caduto ieri sera un po’ dopo le otto, quando dai calcoli dei maghi delle proiezioni che dilagavano nelle tv sono stati liquidati gli effetti di un’altra possibile pericolosa aporìa del sistema elettorale (leggi sopra) per cui l’Unione CDU/CSU pur perdendo il primato dei voti avrebbe comunque conservato, sia pure per un soffio, quello dei parlamentari per via del buon numero di seggi conquistati direttamente nei collegi bavaresi dai candidati cristiano-sociali. In questo caso, secondo la consuetudine tedesca, il presidente della Repubblica Steinmeier avrebbe dovuto (o almeno potuto) affidare al candidato cancelliere cristiano-democratico l’incarico di condurre le trattative per la formazione del governo.
Armin Laschet, l’uomo cui Angela Merkel ha affidato la successione e che accanto a lui ieri sera ha raccolto l’ultima ovazione del suo popolo (o forse no, visto che resta cancelliera fino alla formazione del nuovo governo e potrebbe trattarsi di settimane se non di mesi) ci aveva creduto e aveva rivendicato per sé l’incarico, pur costretto ad ammettere la “dolorosa sconfitta” sulla quale dovremo riflettere “molto profondamente”, chiarendo che mai la CDU potrà collaborare a un governo guidato da un uomo di sinistra. Requiem, forse un po’ troppo impulsivo, per la Große Koalition.
Tolta di mezzo la formula che ha dominato il sistema politico tedesco nelle ultime due legislature, è iniziata già ieri sera nella ridda delle dichiarazioni dei politici e delle speculazioni dei giornalisti. Caduto a causa della débâcle dell’estrema sinistra un altro possibile scenario di alleanze, quello rosso (SPD) – rosso (Linke) – verde che ha governato finora il Land di Berlino, tutte le altre combinazioni contemplano la necessità di negoziazioni tra programmi di governo fra loro molto difficilmente compatibili.
Tra le posizioni di SPD e Grünen esistono molte convergenze di carattere economico e sociale, ma se pure le loro indicazioni sarebbero forse, con difficoltà, oggetto di trattative con i partiti dell’Unione, appaiono decisamente incompatibili con i programmi dei liberali, o almeno del loro gruppo dirigente attuale stretto intorno a Christian Lindner. Rimandiamo a momenti meno concitati l’analisi comparata dei programmi con cui i diversi partiti si sono presentati a queste elezioni, ma si può tranquillamente anticipare che saranno almeno tre i terreni sui quali il confronto con i liberali sarà molto, molto difficile: la politica fiscale, il ruolo dello Stato nell’economia e l’atteggiamento verso l’Unione europea e le questioni del debito e della disciplina di bilancio. Sono i tre capitoli nei quali, insieme con la conversione ecologica e la centralità della questione climatica, si concretizza la svolta a sinistra che il cancellierato Scholz potrebbe imprimere alla Germania. E all’Europa.
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