“La Genovese”, amore, rabbia
e nostalgia nel libro di Enrico Fierro
La Genovese è un piatto tipico partenopeo che evoca la cultura di una terra prima ancora che quella del cibo, chi non è napoletano potrà scoprirlo leggendo fino in fondo il libro di Enrico Fierro “La Genovese- Una storia d’amore e rabbia”.
L’autore utilizza i sentimenti come gli ingredienti di una ricetta di cucina combinandoli, assaporandoli e tu lettore li senti quegli odori, quei suoni, quei sapori e quelle sensazioni.
Sud, politica, giornali, amore, tristezza, ricordi e passioni si mescolano tra ieri e oggi, tra dolore e rabbia, anzi nel suo dialetto, la raggia.
È diversa da un’incazzatura momentanea, è quella cosa che ti consuma e rode dentro di te, perché da sempre hai visto e sentito intorno un mondo che non ti piace e che da sempre tenti di cambiare.
Il protagonista, Frank Santaniello, ha un nome americano ma è un uomo del sud che intraprende la professione giornalistica quasi per caso grazie all’edicolante del suo paese, Peppino, che gli regala ogni giorno i giornali e su cui lui studia e cerca di capire la realtà che lo circonda.
Quella professione che lui aveva interpretato sempre in una certa maniera ”guardare per vedere e sentire per ascoltare” raccontando della tragedia del terremoto, del vecchio professore di violino incontrato in Kosovo durante la guerra dei Balcani, o del maestro elementare del piccolo paese del sud che spendeva i pochi soldi che aveva per i libri e per accrescere la sua idea di comunismo. Insomma, aveva dato voce agli sconfitti che aveva incrociato nella vita, uomini e donne pieni di dignità e umanità.
Siamo nella seconda Repubblica, il giornale segue il partito di riferimento che è cambiato, anziché di massa… partito liquido, tanto che i dirigenti sono rimasti, ma è sparita l’umanità.
Frank osserva la società che cambia intorno a sé: gli operai in balia della crisi senza più punti di riferimento; nei quartieri e nelle periferie delle grandi città abbandonate la gente davanti alla tv impreca contro gli extracomunitari che rubano il lavoro, tutti ladri e puttane e poi il sud mafioso e sanguisuga, i giovani senza speranza per il loro futuro.
Una società dei consumi che trasforma tutto a proprio piacimento ed interesse, ora si impossessa del cibo dei poveri, o precisamente, quello che dicono loro sia il cibo dei poveri, e lo fa diventare un business. La grande struttura del cibo che espone la cipolla di Tropea dietro una vetrinetta come un gioiello di Bulgari fa esplodere la raggia di Frank, che anziché fare gli elogi e parlare di quella magnificenza scrive un articolo sul passato poco limpido del proprietario Pellegrino Diotallevi… sarà l’inizio della sua fine professionale.
La direttora del giornale, capelli in una messa in piega fintamente spettinati, gli dice “Ci serve aria nuova… la tua generazione ha dato tanto a questo mestiere, ma adesso siete fuori, out, inadatti. La cosa che vi frega, Frank? La puzza di sconfitta che vi portate addosso. Siete dei perdenti, e della peggiore specie, vi crogiolate nei vostri fallimenti e non riuscite a sopportare chi ha successo…”.
Tutta la sua raggia si placa, nell’ultimo capitolo, la sera che dedica a sé stesso cucinando la Genovese, questo cibo antico che prepara come gli aveva insegnato la madre.
Enrico Fierro scrive di una generazione che si sente sconfitta, ma questa sconfitta è più collettiva che individuale, finché ci sarà raggia in ognuno di noi forse una speranza c’è.
“La Genovese- Una storia d’amore e rabbia”.
Aliberti compagnia editoriale
pp. 224. Euro 17
Enrico Fierro, nasce ad Avellino, giornalista e scrittore è stato inviato speciale dell’Unità, firmando reportage sulla guerra in Kosovo e sulla crisi dell’Albania, ha collaborato con La Voce della Campania, Dossier Sud, l’Espresso, Epoca, e ora scrive per il Fatto Quotidiano, ha pubblicato diversi libri: per “La Santa.Viaggio nella ‘Ndrangheta sconosciuta”, assieme a Ruben H. Oliva ha ricevuto il premio Globo d’Oro 2007-2008; è autore di “Dieci anni di potere e terremoto” (1990), e di “O ministro. La Pomicino Story” (1991) scritti con Rita Pennarola e Andrea Cinquegrani; “E adesso ammazzateci tutti” (2005), “Ammazzati l’onorevole” (2007). Per il teatro ha curato testo e regia di “O cu nui o cu iddu” con Laura Aprati.
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