La Fornace dei veleni
dove è morto Sacko

Soumayla Sacko stava veramente rubando una lamiera che gli sarebbe servita per il tetto della sua baracca? Oppure era nel pieno di una lotta per i diritti dei braccianti, che oggi sono per la massima parte immigrati stretti nella morsa di imprenditori agricoli senza scrupoli  da un lato e della feroce criminalità organizzata dall’altra,  ma che hanno ripreso e ridato dignità alle stesse parole d’ordine del sindacato bracciantile di base dei tempi difficili ma indimenticabili di Di Vittorio? Perché questi sono i protagonisti principali, insieme ai cittadini insofferenti agli uni e agli altri, che compongono il quadro dentro il quale è nato l’omicidio di Soumayla Sacko.

 

Il tutto all’interno di un contesto dal nome dolce: Fornace Tranquilla. Una vecchia fornace, nel territorio di San Calogero in provincia di Vibo Valentia. Fin qui niente di sospetto. Sta di fatto però che una banda di criminali ha sotterrato in quella fornace, dal 2000 al 2007, ben 135 mila tonnellate di rifiuti tossici tra i quali il più grande carico di vanadio a livello europeo. Tutti rifiuti velenosi, pericolosi per la terra e per le persone. La magistratura inizia ad indagare quando due dipendenti della Provincia di Vibo vengono scoperti a dare falsi permessi per trasporti di veleni provenienti dalla Puglia e dalla Sicilia. I due tecnici vengono accusati di avere rilasciato autorizzazioni non conformi nei confronti della società sotto inchiesta, la “Fornace Tranquilla Srl”, il cui titolare, Giuseppe Romeo, 65 anni di Taurianova, viene arrestato nel novembre 2009. Insieme ad altre 16 persone vengono tutti accusati di associazione a delinquere finalizzata al traffico e all’illecito smaltimento di oltre 135 mila tonnellate di rifiuti pericolosi, per disastro ambientale con conseguente pericolo per l’incolumità pubblica, per l’avvelenamento di acque e di sostanze alimentari, per falsità ideologica commessa da pubblico ufficiale e per falsità ideologica commessa da privato in atto pubblico nonché per l’attività di gestione dei rifiuti non autorizzata e per attività organizzate al fine di traffico illecito di rifiuti.

 

Accuse gravissime in cui sono coinvolti anche alcuni dirigenti delle centrali dell’Enel. Perché si ipotizza che sia stata proprio l’azienda pubblica a smaltire questi rifiuti provenienti dalle proprie centrali termoelettriche. Si chiamò allora operazione “Poison”. Dopo sette anni, nel 2011, il processo si arena al Tribunale di Vibo, dove oggi sta per essere insabbiato dalla prescrizione. Ma di chi era quella Fornace Tranquilla? Era dei fratelli Romeo, imprenditori di Taurianova. L’azienda entra in crisi nel 2000, chiede dei finanziamenti per risollevarsi, ma non gli vengono concessi. Questo diniego induce gli investigatori ad ipotizzare che qualcuno abbia bloccato la richiesta, allo scopo di costringere i fratelli Romeo a vendere l’azienda o a scendere a patti con chi aveva già pianificato un nuovo business milionario, quello dello smaltimento illegale dei rifiuti tossici in quel territorio. La vicenda si complica e si fa nera nel 2000, quando viene ammazzato uno dei fratelli Romeo.

 

Un omicidio misterioso su cui la guardia di finanza ha dei dubbi, ma che viene derubricato a incidente stradale. Col senno di poi, si ipotizza che la vittima avesse capito la pericolosità del business e per questo sarebbe stato ammazzato. Allora non si fece nulla e sei mesi dopo la morte di Romeo,  l’attività illecita alla fornace ricomincia a funzionare a pieno ritmo. Un andirivieni continuo di tir guidati da persone della criminalità organizzata pugliese fanno immaginare un connubio con le ‘ndrine della zona. I nuovi soci dell’azienda dei Romeo infatti sono vicini alla cosca Mancuso. Si chiamano Fortunato e Francesco Pontoriero. Uno dei due, Francesco finirà anche lui nell’inchiesta “Poison”. Ed è proprio lui il legame con l’omicidio di Soumayla Sacko, poiché è lo zio di Antonio, il 43enne fermato per l’omicidio del sindacalista e bracciante maliano, probabilmente un’altra vittima degli interessi criminali che ruotano intorno all’area dell’ex fornace. Un’area avvelenata, a ridosso di coltivazioni di agrumeti, da sempre sorvegliata dai Pontoriero, che va verso la prescrizione e il dissequestro e quindi ritornerà, alla fine del mese, nelle mani di chi l’ha utilizzata per illeciti gravissimi e per arricchirsi sulla pelle di cose e persone.

 

Perché Soumayla Sacko?  Perché un bracciante che aveva come unico obiettivo rifarsi il tetto di lamiere della sua casa? Non è per caso e la magistratura ha il dovere di indagarlo. Come dice bene Saviano, in queste periferie degradate e in mano alla criminalità di ogni risma, dove i cittadini hanno perso ogni aspettativa di poter vedere riconosciuti diritti e speranze, l’unico avamposto di lotta e di resistenza alle mafie locali è diventato il presidio bracciantile degli immigrati. Un sindacato contadino che ritorna alle origini e, come allora, ancora muore sulla terra che coltiva, per salvarsi e per salvarci.