In teoria, dovrebbero esserci tutti i numeri per far sì che la disfida tra Di Maio e Di Battista acquisti i toni e i caratteri di uno scontro a suo modo da ricordare. C’è bisogno di epica nuova, in casa Cinque stelle, perché quella del passato, comunque debolissima, non sta più in piedi, chi se ne frega dei ruggenti meet-up, ora invecchiati e messi in cantina come vecchi ciclostile, e dei principi di democrazia diretta cui facevano riferimento, quasi sempre in modo fasullo. La scena va rinfrescata, mentre i consensi alla creatura di Grillo scendono come polvere in clessidra.
L’abbandono della deriva turistica
Lo sanno bene i direttori di gioco che nessuno in Italia vede al lavoro, quelli dello staff Casaleggio. Per questo, Alessandro Di Battista – che da tempo chiama i giornalisti per nome e non per cognome – non se ne va in India dove lo avrebbe spinto il potente istinto socio-pedagogico che lo governa da sempre. Vedere posti nuovi, conoscere situazioni diverse, contattare umanità lontana e poi raccontare l’esito di queste peregrinazioni all’Occidente senza cuore: qualcosa ha convinto Di Battista ad abbandonare questa deriva turistica bellissima, culturalmente “densa”.
Il sostegno non infinito di Travaglio
Forse perché Il Fatto Quotidiano non se la sente più di pagare molto generosamente i processi di auto-acculturazione del politico che a suo tempo fu messo fuori-gioco giusto per garantire niente ombre a Di Maio nonché un ottimo baccalà da estrarre dal freezer se e quando fosse venuto il momento di buttare l’uomo “del destino”, quello che ha servito il matrimonio, certificato, tra Cinque Stelle e Salvini. Il Fatto ha continuato a pubblicare con orgoglio le paginette del rombante boy scout, provvedendo a rimboccargli le coperte, finché ha potuto, finché è esplosa anche la strepitosamente paziente redazione del quotidiano guidato da Travaglio.
Lo schiaffo alla gioia per le Olimpiadi
Allora: nell’arco di pochi giorni, Di Battista è rientrato nel gioco, da aspirante protagonista dopo aver abbandonato l’idea di andare in India per fare il turista coscienzioso. E, detto fatto, fa sapere a Di Maio che il suo tempo è passato, così, va in tv e, dalla poltrona, schiaffeggia la gioia con cui il vicepremier sfrattabile ha da poco salutato la decisione del Comitato olimpico di affidare a Milano e Cortina la kermesse sulla neve del 2026. I no di Raggi e Appendino a questi crogiuoli di vizio e appropriazioni indebite, quelli sì che avevano nobiltà, erano coerenti con le impostazioni del Movimento, non Di Maio con il suo sfrenato entusiasmo.
Il ruolo di Savonarola
Insomma, Di Battista pretende per sé il ruolo di Savonarola, il puro che riporta a Firenze i sentimenti originari, castità e modestia. Una giostra a pedali, nel complesso, quanto i compitini dalla periferia dell’umanità firmati sempre da lui. Per farla completa, la casa editrice diretta dall’”erede di Montanelli”, pubblica un nuovo libro di Alessandro Di Battista ed è impugnando questa imperdibile considerazione sui destini del mondo che l’”uomo nuovo” si presenta sulla scena. Fatto tutto “in casa”.
Un editoriale molto amorevole
Ovviamente, Luigi Di Maio – al quale è stato detto in sostanza “vattene, sei bollito” – reagisce e attacca chi attacca il governo e i cinque stelle, dei quali, ricorda a Di Battista, è ancora il capo indiscusso per volontà del popolo. Noia mortale. Interviene il direttore del Fatto Quotidiano e con un commovente editoriale cerca di recuperarli tutti e due, sostenendo che hanno ragione entrambi e che dipende da come li si guarda: questo monito ultra-materno ha il pregio, non voluto, di riaccendere il sorriso in una platea ormai sfiancata dalla modestia delle forze in campo e da una sceneggiatura davvero scadente.
Fico e la carta del “buono”
Almeno c’è del bene vero in scena, ed è l’amore senza limiti che il sempre più triste e teso Travaglio dedica alle creature di Casaleggio. Non si scherza sull’amore per i propri figli: ma non sono suoi figli, non è lui il padre di Di Maio e Di Battista, e nemmeno la madre, però li salva commosso pensando alla cattiveria del mondo che li circonda. E’ così, col passare del tempo ci si commuove sempre più facilmente, capita anche alle iene. Uno vuole tirare avanti col governo – indovinate chi – , l’altro invece accetterebbe la fine anticipata della legislatura mentre il M5S perde altri colpi, oltre ai consensi e all’unità. Nugnes se ne va desolata ed entra nel gruppo misto, altri sottosegretari si fanno notare per la loro resistenza alle politiche di Di Maio in caduta, gente vicina al presidente della Camera, Fico, quello che fin qui ha cercato di giocare la carta del “buono” della situazione e che potrebbe far da ponte per l’arrocco via-Di Maio-dentro-Di Battista.
Pensano di poter mungere il Pd
Poi, siccome sempre l’attuale leader del M5S segue con coerenza la linea carogna che tiene le Ong nel mirino come fossero mafia e camorra insieme, mentre tiene sotto il sole una quarantina di migranti salvati dalla Sea Whatch, lo spazio di manovra regalato a Di Battista è enorme: basta pronunciare la parola “Umanità” in un comizio e il futuro è già qui. Insomma, una scena mediocre figlia della peggior politica politicata. Pensano che sostituendo l’uno con l’altro dovrebbe essere più facile entrare in contatto con lo sputatissimo PD, rompendo il contratto con Salvini che intanto se la passa alla grande e fa quel che vuole, tranne quel che ha promesso ai cittadini. Pensano di poter mungere un elettorato di sinistra, visto che a destra la Lega ha prosciugato tutti i pozzi. Pensano che il Pd sia sufficientemente stupido da cadere in questa risibile trappola. E su questo pensiero investono tutto ciò che hanno, e cioè poco e niente.
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