Quella diagnosi
inascoltata
dello zio Marco

“Diagnosi dello zio Marco: forma virale molto diffusa.” È il testo di un mio WhatsApp, spedito il 31 dicembre 2019. Ero stato a letto dal giorno prima, con più di trentanove di febbre e una tosse squassante, insensibile ai fluidificanti. Nel 2014 avevo fatto una polmonite che era iniziata così, per la quale ero rimasto due settimane in ospedale. Logico che fossi preoccupato. Aggiungo che a ottobre avevo fatto il vaccino antinfluenzale, dunque mi domandavo anche dove e come fossi stato contagiato. Forse in un supermercato affollato, un paio di giorni prima. Ero ancora poco informato sui tempi di incubazione, dei quali adesso sappiamo quasi tutto. Al ritorno a Milano (ero in campagna, nei boschi semideserti del biellese) il medico di famiglia mi aveva confermato che si trattava di una forma “che era in giro”, e che per fortuna non avevo la polmonite. La febbre è andata via presto, ma non ricordo un periodo di recupero più lento da un’influenza (o bronchite) in tutta la vita: una stanchezza spietata.

virusDopo qualche settimana sono arrivate le notizie sul virus cinese, e non c’è voluto molto a fare i conti. Il 20 dicembre avevo passato la giornata fra stazioni affollate (Milano, Parma) e una Frecciargento strapiena (e anche la metropolitana di Milano, certo). Poi ho saputo di quella signora, madre di una conoscente, che era morta a Piacenza per una polmonite fulminante, prima dell’Epifania. Poi ho sentito di quell’infermiera in pensione che sosteneva di avere avuto Il Covid 19 (ormai lo si chiamava così) prima di Natale. E poi quel mio vecchio amico che mi ha detto di aver avuto la peggior bronchite che si ricordasse ancora a dicembre. Nel frattempo, un giornalista mi diceva che sì, se ne parlava, che forse qualcuno stava facendo le ricerche. Intanto i mesi passavano. E poi arriva Lukaku che parla dell’influenza strana” nelle file dell’Inter, e finalmente, a fine aprile, esce lo scoop del Corriere: il Covid era in giro già da gennaio, forse anche da dicembre, il “paziente 1” magari era il paziente 400. O forse 4000?

Fine aprile, appunto. Dove sono stati gli epidemiologi nei quattro mesi intercorsi fra quelle “strane” polmoniti di dicembre-gennaio, e la fine di aprile? Avevano molto altro di cui occuparsi, certo. Infatti questa vicenda, ancora da chiarire, non ci parla della distrazione, comunque colpevole, degli scienziati, ma delle falle imperdonabili nel nostro sistema sanitario. I medici di famiglia di Milano e dintorni sapevano già, ma quando si sono diffuse le notizie del virus di Wuhan nessuno li ha interpellati: si è pensato prima di tutto a sospendere i voli dalla Cina. Bisogna aggiornare il proverbio, ora si deve dire così: “Chiudere gli aeroporti quando gli infetti sono scappati.” Ed è chiaro a molti, ormai, che si è sbagliato a seguire una strategia centrata sugli ospedali, le cui risorse erano per di più penalizzate da anni e anni di tagli alla sanità pubblica, mentre le cose sono andate meglio (o sarebbero andate meglio) seguendo i pazienti fin dalle prime manifestazioni dei sintomi, sottoponendoli a cure in casa, con l’aiuto dei medici di famiglia e delle altre strutture del territorio. Ma è legittimo chiedersi quanto sia costata quella strategia centrata sugli ospedali, quanti soldi e soprattutto quanti morti si sarebbero risparmiati agendo diversamente fin dall’inizio. Immaginiamo, appunto, che prima di Natale ci fossero in giro qualche decina, o magari qualche centinaio di contagiati, e che questi siano andati in giro inconsapevolmente a infettare altre persone, per varie settimane prima che si scoprisse il “paziente 1”. È così difficile rendersi conto di come mai la Lombardia sia uno dei focolai più attivi nel mondo, ancora oggi?

E però, in conclusione, bisogna aggiungere qualcos’altro sul ruolo dell’informazione. È vero, in tempi come questi le fantasie malate si scatenano, e si rischia di essere investiti da ondate di notizie fasulle. Ma la favola di Pierino e il lupo ci insegna che a volte tra molte notizie false (o dopo molte notizie false) ce ne può essere una vera, e purtroppo non c’è niente di peggio che creare uno stereotipo mediatico come “fake news” per fare in modo che quella rara notizia vera venga liquidata come bufala. Stiamoci attenti. Quante vite sarebbero state salvate, se qualche bravo dottore di famiglia come lo zio Marco fosse stato ascoltato nelle alte sfere, fin dal 31 dicembre 2019?