La destra conquista Predappio. E riapre la questione della tomba del duce

Per la prima volta dal dopoguerra Predappio è stata conquistata alle elezioni comunali dalla destra. Il neo sindaco, Roberto Canali, sostenuto da Salvini e Meloni, ha dichiarato che per prima cosa farà riaprire tutti i giorni la cripta del Duce, che era stata chiusa. Perché, ha spiegato, “Mussolini richiama ancora tanta gente, turismo e commercio a Predappio girano attorno alla sua figura”. E a proposito delle tensioni e delle polemiche per le adunate che almeno tre volte l’anno – nelle ricorrenze del 29 luglio (nascita di Benito), 28 aprile (morte) e del 28 ottobre (marcia su Roma) – hanno portato nella cittadina romagnola orde di nostalgici e neofascisti con camicie nere, fez e saluti romani, dice: “Per me queste cose sono superate. Serve solo buonsenso e lasciare annacquare le tensioni”. Insomma, par di capire che con l’aria che tira nel Paese e con la nuova giunta comunale, d’ora in poi a Predappio sarà festa tutto l’anno. Per i neri, s’intende.

Il fenomeno del turismo nero a Predappio comincia nel 1957, in piena Guerra Fredda, quando la Repubblica di San Marino era incredibilmente rimasto l’unico avamposto del comunismo in Occidente e gli Stati Uniti e l’Italia, con l’aiuto determinante della Cia e della Dc, s’apprestavano a mettere in atto, nella notte tra il 30 settembre e l’1 ottobre, il colpo di stato che avrebbe rovesciato il governo legittimo dei socialcomunisti. La vicenda è raccontata nel libro “Gli intrighi di una Repubblica”, pubblicato da Pendragon nel 2012.
Presidente del Consiglio in quel periodo è Adone Zoli, democristiano di Predappio, che qualche mese prima, nell’estate del 1957, d’accordo con Donna Rachele e col benestare del sindaco comunista ha disposto che la salma del Duce venga traslata nella sua città natale. Una decisione che solleva un mare di polemiche in tutto il Paese. Zoli è pesantemente attaccato dalle opposizioni di sinistra e per questo esita a sferrare il colpo di grazia ai “rossi” di San Marino. Saranno Fanfani e Tambroni, con la regia degli Usa, a costringerlo a mandare i blindati al confine per insediare e proteggere il nuovo governo democristiano sul Titano.

Anche la storia di Predappio è curiosa. Si può dire che comincia il 29 luglio 1883: il giorno in cui nasce Lui. Benito Mussolini è figlio di una maestra elementare, Rosa Maltoni, e di un fabbro ferraio con la passione per la politica, Alessandro Mussolini: un socialista anarchico che ebbe un ruolo importante nella storia del socialismo romagnolo. Fu anche grazie al suo impegno che Andrea Costa, nel 1882, venne eletto alla Camera dei deputati. Per la sua storica elezione risultarono infatti decisivi i circa mille voti che Mussolini padre era riuscito a convogliare sull’amico e compagno anarco-socialista. Alessandro è un uomo assai focoso. Tanto che una volta, a inizio secolo, a una consultazione elettorale, quando scopre che lo scrutinio sta facendo vincere i liberali e perdere i socialisti, prende le urne del seggio e scappa via con tutte le schede; salvo poi essere ripreso e arrestato.

Il futuro Duce nasce in una povera casa in località Dovia, frazione del Comune di Fiumana. Predappio ancora non esiste. C’è Predappio Alta, con le sue origini antiche, il borgo e il castello medioevale, famosa per la bontà del suo Sangiovese e per le splendide cantine quattrocentesche della Rocca. Queste ultime sono di proprietà della famiglia Zoli, che nel 1887, quattro anni dopo la nascita di Benito, dà i natali ad Adone. Pochi decenni dopo Predappio Alta e Fiumana non esisteranno più, verranno cancellate dal fascismo, mentre Dovia diventerà Predappio, città di fondazione, costruita dal niente a misura e immagine del fascismo.

Quando Mussolini diventa il Duce, la famiglia Mussolini si trasferisce in un’abitazione più adeguata: Palazzo Varano, che diventerà dagli anni Venti il Palazzo del Podestà e dalla Liberazione in poi sarà la sede del Comune di Predappio. Nella sala del Consiglio c’è ancora il “trono” dove sedeva Lui. E dal balcone del suo ufficio, ancora si vede la scala a freccia che punta Rocca delle Caminate, la residenza estiva del Duce, dove dopo la caduta del fascismo si tenne il primo Consiglio dei ministri della Repubblica di Salò. Il Palazzo, lo scalone, la piazza, la chiesa: tutta Predappio viene edificata dal 1920 applicando l’iconografia del regime. I maggiori architetti dell’epoca, chiamati dalla propaganda del regime, la modellano come città prototipo dell’architettura razionalista. Addio all’antico borgo contadino e alla culla del Sangiovese, c’è solo Predappio che da allora in poi sarà “la città del Duce”, e basta.

C’è però un problema: nella nuova Predappio, la città modello del fascismo, non vuole andare ad abitare quasi nessuno degli abitanti della zona. Così, per evitare un clamoroso flop, Mussolini chiama l’industriale Caproni, che è l’Agnelli dell’aeronautica italiana, e gli ordina di costruire a Predappio, lassù, in mezzo alle colline, lontano dalle grandi vie di comunicazione, niente meno che una fabbrica di aeroplani. Per superare la “stranezza logistica” di quel nuovo insediamento, farà poi costruire a Forlì l’aeroporto. La fabbrica inizia la sua attività nel 1935. Gli aerei vengono costruiti nelle officine di Predappio, quindi smontati e trasferiti all’aeroporto di Forlì dove vengono riassemblati. E’ uno dei tanti paradossi del fascismo, ma intanto, con circa mille operai impiegati, Predappio si popola rapidamente. Allo stesso tempo, la Caproni diventa il simbolo della potenza e dell’infallibilità del regime fascista con la costruzione degli aerei trimotori Savoia Marchetti S.M. 81 Pipistrello.

Nel 1957 il Duce, il fascismo e la Caproni sono finiti tutti da tempo a testa in giù. Adone Zoli, il politico contadino, l’antifascista cattolico che ha fatto carriera nella Dc, dopo essere stato per due volte ministro (Giustizia e Bilancio), nel giugno di quell’anno succede ad Antonio Segni e diventa Presidente del Consiglio dei ministri. La vedova di Mussolini, Rachele Guidi, tornata nel frattempo a vivere a Predappio, coglie la palla al balzo. Va dall’illustre concittadino, che conosce bene per via dei solidi legami che esistono tra le rispettive famiglie, e gli dice: “Adone, cosa facciamo del corpo di Benito? Mica possiamo lasciarlo in eterno nascosto nei sotterranei di un convento nel milanese. Diamogli un po’ di pace, riportiamolo a casa”.

Quella dei resti di Mussolini è un’altra storia che merita di essere ricordata. Catturato a Dongo dai partigiani mentre cerca di fuggire in Germania travestito da tedesco, fucilato assieme a Claretta Petacci il 28 aprile 1945 a Tremezzina, oggi Mezzegra, in provincia di Como, portato il giorno dopo a Milano ed appeso a piazzale Loreto, Benito viene dapprima sepolto nel cimitero milanese di Musocco, in una tomba anonima. Ma un anno dopo il segreto viene scoperto dai nostalgici del Fascio. Nella notte tra il 22 ed il 23 aprile 1946 la tomba è individuata dal neofascista Domenico Leccisi e dai suoi complici, che trafugano il cadavere. Nella fuga precipitosa, la bara scivola alla presa dei tombaroli, cade a terra, si apre, e nell’urto dal cadavere di Mussolini, già martoriato, si staccano alcune falangi di una mano. Solo nell’agosto successivo, dopo diverse peripezie, si riesce a recuperare la salma del Duce. Il Presidente del Consiglio, De Gasperi, dispone che venga celata al fanatismo dei nostalgici.  Viene così parcheggiata a Cerro Maggiore, alle porte di Milano, nei sotterranei di un convento di frati cappuccini e lì rimane per 11 anni, fino a quando non diventa Premier Adone Zoli.

Il presidente del Consiglio, dunque, si fa convincere da Donna Rachele a seppellire il Duce nella tomba di famiglia, nel cimitero di San Cassiano. Zoli chiama il sindaco di Predappio, Egidio Proli, e gli riferisce la proposta della vedova di Benito. Proli, che è un comunista sanguigno e tutto d’un pezzo, gli risponde più o meno così: “A me Mussolini non m’ha fatto paura da vivo, figuriamoci se mi fa paura da morto”. E’ fatta. Le spoglie del Duce tornano a casa. Il trasporto avviene in due tappe, su un’auto anonima scortata da un frate, Carlo da Milano, e da un alto funzionario di polizia, Vincenzo Agnesina, che raggiunge il cimitero di San Cassiano di Predappio attorno a mezzogiorno del 30 agosto 1957.

Appena la notizia si diffonde, i predappiesi si arrabbiano moltissimo: di Mussolini ne hanno avuto abbastanza. Vanno dal sindaco e gli chiedono conto del ritorno a casa del “puzzone”. Partigiani e antifascisti, i vertici dei partiti e delle associazioni della sinistra insorgono. Anche Edidio Proli viene messo in croce, ma lui scrive una lettera, pubblicata da l’Unità, in cui dice che non c’entra, che non ne sapeva niente, che ha fatto tutto il governo, che la colpa è di quel “democristianone di Zoli”. Quest’ultimo però non ci sta a prendersi la responsabilità dell’operazione. Scrive al sindaco comunista e gli ricorda, in carta intestata, la frase pronunciata nel loro colloquio: “… non abbiamo paura dei vivi, vuole che abbiamo paura dei morti?”. Apriti cielo. Si scatena una polemica ferocissima, fuori e dentro il partito, a Predappio, in Romagna, in Italia. E la guerra di propaganda tra comunisti e democristiani su di chi è stata la colpa del ritorno del Duce a Predappio, durerà anni.

 

Intanto i resti di Benito sono stati sistemati nella cripta sotterranea della famiglia Mussolini dove in seguito verranno poi sepolti anche la moglie, Rachele Guidi, i figli Bruno, Vittorio e Romano. Il ritorno a casa del Duce, però, cambia un’altra volta il corso della storia della città. Predappio, da poco riconquistata alla libertà e alla democrazia, diventa meta di un continuo e crescente pellegrinaggio di fascisti, nostalgici e curiosi, ma anche di tanti, troppi giovani che arrivano con look da ultras, indossando camice nere e fez, attirati dall’iconografia nazi-fascista, dal mito dell’uomo forte e dal fascino della violenza. Nel libro delle visite dilagano le svastiche e i “boia chi molla”. Le presenze sono centomila l’anno: trecento persone che ogni giorno vanno a Predappio per vedere la tomba del Duce, visitare la sua casa natale e i palazzi del Podestà – ancora oggi sede del Comune – e del Fascio; per acquistare busti e manganelli nei tre negozi tre di souvenir che fanno i soldi a palate con i gadget “made in China” del fascismo. Senza contare le adunate in camicia nera e saluti romani per le ricorrenze del 29 luglio (anniversario della nascita di Benito), 28 aprile (morte) e del 28 ottobre (marcia su Roma).

Predappio diventa prigioniera di questo carico di simboli e di ideologia nostalgica. E perde la memoria di tutto quel che non è stato Duce e Fascio. Non si ricorda più del papà di Benito, Alessandro, l’idealista anarchico, poi socialista focoso, che mandò Andrea Costa in Parlamento diventandone amico fraterno. Dimentica Adone Zoli, il secondo figlio di questa terra diventato presidente del Consiglio. Deve rimuovere, perfino, la ricorrenza della Liberazione della città, avvenuta il 28 ottobre 1944. E anche quella data non è casuale. I soldati inglesi e polacchi, assieme ai partigiani, erano alle porte del paese già da diversi giorni, ma aspettarono il 28 ottobre per entrare: la città del Duce viene così liberata in un giorno simbolico, quello della marcia su Roma. Una decisione che si rivelerà un clamoroso boomerang. A partire dal 1957, tutti i 28 ottobre arrivano infatti a Predappio i pullman con centinaia di camicie nere. Portare in piazza quello stesso giorno gli antifascisti, fare arrivare i partigiani e i militanti di sinistra con il fazzoletto rosso al collo per ricordare la liberazione della città dal nazi-fascismo, diventerebbe molto pericoloso. Così a Predappio, dal 1957, la Liberazione della città si festeggia il 25 aprile.