La crisi Saras tra
pandemia e ritardi
Ora la Sardegna rischia

La grande crisi sviluppatasi con l’espandersi della pandemia di covid 19 ha determinato una drastica riduzione nel consumo di prodotti petroliferi e la sospensione di molte fabbriche e impianti di raffinazione. In Sardegna la principale vittima del Covid e’ stata la Saras che oggi è tra i principali operatori europei nel settore della raffinazione e dell’energia e rappresenta uno dei più importanti gruppi industriali italiani, è la terza realtà economica di appartenenza (Oli e Gas) ed è naturalmente la più grande realtà economica della Sardegna. Dall’inizio degli anni Duemila la Saras ha affiancato all’attività di raffinazione quella di produzione e vendita di energia elettrica. Ha avviato un impianto di gassificazione al ciclo combinato della potenza installata di 575MW ed è entrata nella produzione di energie rinnovabili gestendo un parco eolico di 57 aerogeneratori e contribuendo, grazie a questi interventi, a garantire il 45 per cento del fabbisogno elettrico della Sardegna.

La recrudescenza dell’epidemia e la mancata ripresa dei consumi ha portato la società a intraprendere scelte per il contenimento dei costi dall’autunno dello scorso anno con la drastica riduzione degli investimenti, il taglio di gran parte delle manutenzioni e soprattutto con il contenimento del costo del lavoro. È stata così avviata una cassa integrazione che coinvolge 1500 lavoratori direttamente impegnati nella raffineria ma interessa in modo massiccio anche l’insieme dei lavoratori dell’indotto. Queste vicende hanno avuto un rimbalzo preoccupato nell’opinione pubblica di tutta l’isola perché la fabbrica riversava sul territorio investimenti milionari e migliaia di posti di lavoro e, particolare non trascurabile, garantiva un bel mucchio di entrate fiscali. Nel Consiglio regionale il tema è stato posto con allarme e persino il presidente della Regione ne ha dovuto prendere atto.

Ma la questione va oltre la crisi determinata dal Covid. Chi ha avuto la ventura di partecipare nel dopoguerra alle lotte dei lavoratori sardi che chiedevano contropartite per la chiusura delle miniere metallifere e per quelle di carbone non può dimenticare che queste sono state ottenute ma poi cancellate una ad una, nel settore della chimica di base, in quello dei materiali non ferrosi e in altri settori. La Saras non deve diventare l’ennesima disgrazia della Sardegna. La politica deve incontrassi con l’Azienda, le forze sindacali, le rappresentanze locali per stabilire come e quando l’impianto sarà convertito, cosa produrrà fra dieci anni, quando il destino della raffinazione sarà irrimediabilmente segnato dalla mobilità rinnovata e dai nuovi impianti di raffinazione che stanno sorgendo in Cina, in Arabia Saudita, nel Kuwait e persino in Nigeria. Conosciamo bene tutte le difficoltà incontrare nella vicenda Saras, sappiamo che tutti i passaggi sono contrastati dai conservatori che a volte si travestono persino da ambientalisti per ostacolare l’inno azione e il mutamento. Solo creando la giusta mobilitazione attorno a questa battaglia il pericolo può essere fronteggiato.