“La cospirazione del Cairo”: un thriller alla le Carrè nei misteri dell’Egitto
Suspense bella tosta, un giovane puro ma non fesso risucchiato tra oscure trame politico-religiose e spire letali del potere, in più il minimo sindacale di morti violente per un thriller che si rispetti. Con La cospirazione del Cairo il cinquantenne svedese di famiglia egiziana Tarik Saleh ci accompagna nell’università pubblica cairota di al-Azhar, il più celebre centro di studi islamici, faro intellettuale per il mondo musulmano. E sono peripezie e odi ideologici capitali, un Il nome della rosa nel segno del Corano: lo ha confessato lo stesso regista e sceneggiatore, l’ispirazione viene dal romanzo di Eco e l’effetto di una storia oscura ambientata tra ampi cortili, minareti e un’enorme moschea è felicemente straniante. Sacro e profano. O forse un mondo semplicemente cinico ai confini col disumano e a ricordarcelo più volte nelle due ore del film sono gli agenti dei servizi di sicurezza del regime di al-Sisi, che occhieggia in uffici e cartelloni stradali, in compagnia di Momo Salah, il campione di calcio vanto del Paese e della nazionale, ora accasato al Liverpool.
Adam, l’angelo di Ibrahim
Il Grande Imam rettore dell’università è morto. Si apre una fase di successione, delicatissima perché al massimo soglio sono candidabili per prestigio tre cheikh, notabili religiosi di diversa ispirazione e la rotta di una corazzata come al-Azhar è, in Egitto, una questione di Stato. Sono l’anziano Negm (Makram Khouri), un mistico cieco che riconosce le ombre del male, l’integralista Al Durani (Ramzi Choukai) guida morale di una cellula dormiente dei Fratelli Musulmani e Omar Beblawi (Jawad Altawil), stesso cognome non scelto a caso del ministro che nel 2013 aveva proposto di mettere fuorilegge l’organizzazione islamista, oggi effettivamente illegale in Egitto. Per lo cheikh Beblawi la religione non deve arrogarsi un potere extrareligioso, come pensano invece i Fratelli Musulmani, propugnatori di un Islam politico, di una società governata dai principi della sharia. L’Islam, che pure in Egitto permea da capo a piedi la società, non deve ingerirsi in questioni di Stato: non ci possono essere due faraoni nello stesso tempo, dice a un certo punto un generale dei servizi di sicurezza, di faraone ce n’è uno solo, si chiama al-Sisi e rettore di al-Azhar dev’essere Beblawi, peraltro persona degna.
Clima caldino nel cuore del Cairo, nel quartiere del bazar Khan el Khalili, dove sorge al-Azhar (“la più splendente”). Diviene incandescente poco dopo l’arrivo all’università di Adam (Tawfeek Barthom, perfino vagamente somigliante all’Adso da Melk-Christian Slater de Il Nome della rosa), figlio di un pescatore analfabeta ammesso ai corsi di alta formazione perché molto sveglio. Dalla cima del minareto è subito testimone della crudele esecuzione di uno studente un po’ speciale, l’assistente dello cheikh Negm. Che si autoaccusa del delitto. Strana mossa, l’allampanato colonnello Ibrahim (Fares Fares, libanese naturalizzato svedese, uno degli attori-feticcio di Saleh) s’incarica delle indagini e sceglie Adam come informatore, sarà il suo “angelo”. E in al-Azhar ce n’è più d’uno, ogni dirigente al ministero degli Interni ha il suo e pare che l’ucciso fosse uno spifferatore abilitato. Tra Ibrahim, poliziotto coi canini aguzzi e però marlowiano dentro, non incline a efferatezze e dotato di una sua indolente morale, e il timoroso Adam monta un rapporto di reciproca fiducia, ben dipinto dal regista.
“La cospirazione del Cairo”, un universo da brividi
Il ragazzo, tra una gara di preghiera (memoria di ferro al servizio di armoniosi vocalizzi) e una lezione ha il compito di introdursi nel gruppo dei Fratelli Musulmani e riferire. Con l’elezione del Grande Imam alle porte i giochi più o meno sporchi si moltiplicano e Adam passa, su indicazioni dall’alto, alle dipendenze dello cheikh Al Durani, infiammato predicatore della sharia con scheletrino nell’armadio, ha ingravidato la figlia della sua cameriera – sono le uniche donne che si vedono nel film, è un universo ossessivamente maschile: brividi – ed è scacco matto, con intervento diretto del sagace novizio. Di lì la storia vira ancor più sul nero, l’arbitrarietà dei gerarchi di al-Sisi si mostra in tutta la sua crudeltà (due memorandum: Giulio Regeni e Patrick Zaki), il perspicace studente coranico rischia la buccia. La sua intelligenza, la sua dialettica (Ibrahim: “È Allah che decide il destino di ognuno di noi”, Adam: “Il mio destino l’hai deciso tu”) riusciranno a salvargli la vita? Un incontro in carcere col vecchio Negm sarà risolutivo e mostrerà quanto bene ha fatto Adam a leggere “quei libri che fanno paura ai tiranni e ai re”. Tutto il resto è spoiler.
La cospirazione del Cairo per le oblique strategie spionistiche ricorda le Carré, ma il regista, al quinto lavoro di fiction, tira dritto in un thriller dove inedite atmosfere e il lavoro sull’intimo sentire dei personaggi fanno premio su qualsiasi genealogia. Stile asciutto, passo implacabile, un film nobilmente di genere per un cineasta che non ama le ellissi e coltiva in egual misura emozioni (ottima la fotografia del francese Pierre Aïm) e particolare contesto. La moschea che si vede nel film non è quella di al-Azhar, l’Egitto è precluso Tarek Saleh, ha dovuto girare a Istanbul e si è avvalso, per questa produzione internazionale della monumentale moschea di Süleymaniye il Magnifico. I guai erano iniziati per lui nel 2017, a pochi giorni dall’inizio delle riprese del precedente Omicidio al Cairo nella capitale egiziana era stato cacciato e invitato a non tornare mai più. Il film era stato girato a Casablanca, in Marocco e a tutt’oggi Saleh è ufficialmente “persona non grata” nella patria dei suoi genitori. Curiosità: il nonno del regista era stato studente all’università al-Azhar. Il film esce da noi in 37 sale, distribuisce Movies Inspired.
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