La Cina è ancora
più vicina
E l’Europa che fa?
Quando si parla di cinesi, mi vengono sempre in mente le parole di Alberto Sordi nel film “Il Vigile”: “Quelli so’ come e formiche, 600 milioni di cinesi, se se movono quelli che famo noialtri?”. Era il 1960, la Cina era ancora quella di Mao, il “grande balzo” economico era fallito. Il dissidio con i sovietici era alle porte, quello con Tito già cominciato e anche con Togliatti e il suo Pci i cinesi avrebbero a breve litigato. Entro pochi anni il partito comunista della “grande marcia”, e con lui l’intera Cina, sarebbe sprofondato nella “rivoluzione culturale” scatenata da Mao contro i suoi oppositori.

In sessant’anni di acqua sotto i ponti del fiume giallo ne è passata. Oggi la Cina è al top dello sviluppo economico, non è stata fermata dal Covid 19 che lì è nato, e già guarda al futuro. Nel grande paese asiatico, che nella globalizzazione neoliberista ha svolto finora il ruolo di “fabbrica del mondo”, di diritti umani non c’è ombra e neanche di democrazia. Il paese è totalitario senza se e senza ma, con caratteristiche diverse e sue proprie per quanto riguarda la dialettica interna al gruppo dirigente comunista.
Il tempo della globalizzazione
La storia è piena di sorprese. La dittatura cinese è oggi la vessillifera della globalizzazione e del libero scambio, mentre il suo opposto, gli Stati Uniti, che la globalizzazione neoliberista l’hanno inventata, hanno ripiegato con Trump nel protezionismo con annesse pulsioni populiste, razziste, antidemocratiche e fascistoidi. Il modello capitalistico cinese è dominato e guidato dallo Stato che ha adottato competitività e concorrenza controllate sul piano internazionale dando sfogo al commercio e al mercantilismo che sono nel Dna dei cinesi. Ha lasciato dietro di sé la “comune” contadina per proiettarsi, dopo un lungo scontro politico (“rivoluzione culturale” e “guardie rosse”) durato circa un ventennio (1960-1978) costato milioni di morti, nel mare magnum della concorrenza globalizzatrice e di un’emigrazione silenziosa quanto penetrante dal punto di vista del commercio.
L’assolutismo di Deng
Il leader che l’ha lanciata su questa strada è stato Deng Xiaoping, il “sordo topastro”, inventore del detto pragmatico “non importa se un gatto è nero o bianco; finché catturerà i topi, sarà un buon gatto”. Il capitalismo-comunista cinese richiama alla mente quel “modo di produzione asiatico” di cui parlava Marx, dominato dal dispotismo statuale e politico. Con la rivoluzione maoista quel dispotismo cambiò ragione sociale e classi dirigenti chiamando in primo piano sulla scena politica le immense masse contadine, ma mantenne le sue caratteristiche assolutiste anche con l’inserimento dell’economia cinese, gradualmente liberalizzata con l’adozione del mercato e delle “quattro modernizzazioni” indicate da Deng, nella globalizzazione neoliberista oggi in crisi da Covid 19.
Tutto ciò ha portato alcune centinaia di milioni di cinesi a uscire dalla povertà e dall’economia di sussistenza e a cancellare il termine antico di paese sottosviluppato. Un’uscita piena di contraddizioni, squilibri sociali e ambientali dentro un sistema economico-sociale difficilmente definibili come socialista.
Ultimamente la dirigenza comunista dominata da Xi Jinping ha lanciato una riedizione in chiave moderna della suggestiva “nuova via della seta”. Un’immensa mole d’investimenti su collegamenti navali ferroviari e moderne tecnologie di software volti a collegare ancor più strettamente la Cina al grande mercato europeo. Poi è arrivato, nato a Wuhan, il Covid 19 che si è diffuso in tutto il mondo.
Il plenum del Comitato centrale
Giustamente in questi giorni l’attenzione del mondo politico e dell’opinione pubblica è concentrata sulle elezioni statunitensi per l’importanza che esse hanno non solo per gli States ma per il mondo, ma l’altra settimana si è concluso il plenum del comitato centrale del partito comunista cinese e quel che accade in Cina non è meno importante per il nostro futuro e per quello del pianeta.
I comunisti cinesi hanno approvato un piano quinquennale, in realtà quindicennale, che indica gli obiettivi per il 2035: autarchia tecnologica, innovazione, rafforzamento dei consumi interni, crescita qualitativa, ammodernamento rurale, limitazione delle differenze tra le ricche città costiere e le ancora non completamente sviluppate aree interne, un obiettivo, nonostante tanti impegni e promesse, mai raggiunto dal Pcc.

Quello che è alla base di questo piano strategico è la cosiddetta “circolazione interna”. In sostanza Xi Jinping, diventato dominatore assoluto della scena politica cinese (segretario del Pcc, Presidente della commissione militare e dell’Assemblea nazionale del popolo senza il precedente limite dei due mandati), e con lui i comunisti cinesi, si ripromettono di affrontare i problemi, gli squilibri e le contraddizioni socioeconomiche prodotte da un’economia tutta protesa verso l’esterno. Questo comporta il potenziamento della domanda interna e un aumento del reddito di milioni di cinesi finora esclusi o meno gratificati dai benefici economici dell’impetuoso sviluppo della “fabbrica del mondo”.
La penetrazione ecomomica nel mondo di Xi Jinping
C’è da dire che finora l’espansionismo economico cinese nel mondo non avviene, salvo eccezioni (interventi in Africa), con gli strumenti militari e politici dell’imperialismo e colonialismo tradizionali ma con la penetrazione economica. Nel 2009, durante un viaggio in Messico, Xi Jinping, allora vicepresidente della Repubblica popolare cinese, ebbe a dire: “Primo, la Cina non esporta la rivoluzione. Secondo, la Cina non esporta fame e povertà. Terzo, la Cina non esporta seccature. Che altro c’è da dire?” C’è da dire che per le “seccature” si è sbagliato di grosso, vedi quella del Covid 19 che ha messo in crisi, anche economica, Europa, America e il resto del mondo. E’ vero, però, che l’espansionismo economico cinese ha bisogno della pace per dispiegarsi e fare affari. Almeno per ora.
Sta di fatto che in un mondo ormai pienamente globalizzato le decisioni economiche che in Cina vengono prese e i suoi piani futuri vanno attentamente osservati e valutati per gli effetti che avranno sul resto del globo terracqueo, compresa l’Europa. Marco Bellocchio nel 1967 fece un film intitolato la “Cina è vicina”. Oggi lo è immensamente di più. Quei 600 milioni di formiche cinesi, nel frattempo diventate 1 miliardo e 400 milioni, si sono mosse da tempo, come ipotizzava il vigile Otello Celletti (Sordi).
Rimane la sua domanda: “Che famo noialtri?”. Cioè l’Europa?
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