La Cina all’assalto
delle Nazioni Unite
conquista la Fao

Sono passati trent’anni dal massacro di Piazza Tienanmen. Non si saprà mai quanti sono stati gli uccisi nella notte del 4 giugno 1989. Non si saprà mai il nome di quel ragazzo che da solo fermò la colonna di carri armati, arrivando a salire sul primo della fila, né si saprà il nome di chi comandava la colonna di carri e che decise di fermarsi e di non investirlo.

In tutto il mondo si sono viste le immagini di allora, le richieste degli studenti di una maggiore libertà di espressione. Le più sentite ovviamente a Hong Kong, città stato nella strana condizione di essere ufficialmente parte della Cina ma di essere ancora nelle condizioni di mantenere la precedente autonomia di strutture politiche e sociali fino a che scadono i cinquant’anni dal ritorno della città alla Repubblica Cinese. Ed un milione di abitanti si sono visti in piazza il 9 giugno (non certo nei media Cinesi) per protestare contro la nuova legge di estradizione per molti reati (esclusi quelli finanziari su richiesta dei potenti finanzieri locali) verso la Cina.

 

cinese alla FaoLa disfida tra Usa e Cina

E vediamo ogni giorno la disfida tra gli USA (o meglio Trump) e le autorità cinesi per la questione dei dazi doganali. A nessuno viene ovviamente in mente di mettere delle sanzioni economiche per la questione dei diritti civili degli abitanti della Cina e in particolare per le minoranze, prima fra tutte quella musulmana.

Sono anni che la Cina applica quella che si chiama la “strategia del portafoglio”. Si danno aiuti ai diversi paesi, alcuni a fondo perduto, con l’obiettivo di acquisire, soprattutto in Africa, territori per coltivazioni, acqua, ed una delle condizioni è che non si prendano decisioni politiche contrarie a quelli che la Cina ritiene i propri interessi strategici.

Per esempio la visita del Dalai Lama in Sud Africa, e che il Dalai Lama faccia ancora paura alla potente potenza cinese è veramente grottesco. Come è ben noto, in Tibet da tempo la maggioranza della popolazione è cinese. Il quotidiano Le Monde ha dedicato cinque pagine e mezzo alla Cina e alle sue politiche nel numero di domenica 2 e lunedì 3 giugno.
Il titolo con cui venivano presentati gli articoli in prima pagina era quanto mai esplicito: “30 anni dopo Tienanmen la Cina all’assalto dei diritti umani.”

Nel primo degli articoli si scrive che la Cina, dopo un breve periodo di una certa liberalizzazione ha decisamente ridotto i già esigui spazi di manovra di giornalisti, avvocati ed intellettuali cinesi. Una direttiva emerge su tutte secondo Le Monde. Non si può in nessun caso criticare il Presidente, definito Imperatore dal giornale, Xi Jinping. Una pagina era dedicata alla ricostruzione della notte del 4 giugno 1989 dove, le stime sono della Croce Rossa, ci sono stati almeno 2600 morti.

 

La denuncia del leader degli studenti

Nell’articolo era intervistato uno dei leader degli studenti di allora, esule negli USA, che afferma essere praticamente impossibile accedere a qualsiasi documentazione che riguarda la notte del 4. E la battaglia della memoria, per cercare di far conoscere alle nuove generazioni cinesi la verità su quello che successe allora è doverosa e giusta anche se molto difficile da portare avanti. Anche per le pressioni sulle comunità cinesi all’estero.

Nella stessa pagina altra intervista a Yu Jianrong, intellettuale cinese che riesce ancora a barcamenarsi con la gerarchia. Nell’intervista dichiara che se “non ci si può più esprimere su WeChat si passa a Weibo (dove il suo conto aveva 7 milioni di abbonati) e se non si può più si passa a Twitter e se non si può resta sempre Le Monde.”

 

cinese alla FaoL’assalto alle Nazioni Unite

Due pagine sono dedicate all’ “Assalto alle Nazioni Unite”. La tesi di Le Monde è che “la Cina 30 anni dopo Tienanmen vuole non solo bloccare qualsiasi tipo di critica da parte degli organismi internazionali sui diritti umani” ma vuole “imporre i suoi valori, e sembra che ci stia riuscendo in modo sostanziale”.

La politica del portafoglio, l’invio di un grande numero di diplomatici ovunque, il boicottare giornalisti e ONG indipendenti, e le rappresaglie economiche verso i paesi che non accettano le regole imposte in cambio di aiuto e sostegno alle loro economie, è la strategia vincente.

Ma non basta. L’idea è anche quella di occupare posti importanti all’interno delle organizzazioni delle Nazioni Unite per impedire che prendano decisioni che mettano in discussione la politica cinese sia dal punto di vista dei diritti umani che di quelli economici. Ed ecco allora che una pagina de Le Monde era dedicata al caso della FAO, l’agenzia dell’ONU che si occupa del problema della fame nel mondo e di tutti i problemi collegati.

 

Il candidato cinese alla Fao

Il 23 giugno ci sono state le elezioni per scegliere il nuovo Direttore Generale. E la scelta è caduta sul cinese Qu Dongyu, attuale vice ministro di Pechino per l’Agricoltura e gli Affari rurali. Il sinologo francese Jean-Pierre Cabestan, che è professore all’università Battista ad Hong Kong, afferma che “l’influenza crescente nelle istituzioni internazionali serve alla Cina oltre che a neutralizzare tutte le critiche sui diritti umani anche ad installare norme, forum e tribunali riconosciuti ovunque che permettano di modificare l’ordine mondiale a suo vantaggio”.

E’ stata una missione della FAO a scoprire il problema della peste suina in Cina, dove sono stati già abbattuti centinaia di migliaia di maiali ed altri milioni devono essere uccisi. Il nuovo Direttore Generale cinese della FAO sarà così indipendente da avviare indagini di questo tipo? E’ lecito, come si chiede Le Monde, avanzare dei dubbi?

cinese alla FaoLe mani cinesi sull’Africa

Sottolinea Le Monde che è cinese il direttore dell’Unione Internazionale delle Telecomunicazioni, è cinese il segretario generale dell’organizzazione dell’ONU per lo Sviluppo Industriale e il sottosegretario Generale del Consiglio Economico e Sociale. Le Monde lo definisce con parola di altri tempi “l’entrismo cinese all’ONU”.

In particolare uno degli obiettivi della Cina è l’Africa con cui ha instaurato da anni rapporti economici e di aiuto.

L’ex presidente del Cile Michelle Bachelet, commissaria ai diritti umani dell’ONU ha chiesto nel marzo 2019 una indagine indipendente nella regione Cinese in riferimento alla minoranza Iugura di fede musulmana. Secondo il sinologo intervistato dal giornale francese non ci saranno problemi perché la Cina sarà in grado gestire anche questa iniziativa.

Tutti i paesi autoritari lo sanno fare bene. Basti ricordare l’esempio delle visite della Croce Rossa Internazionnale nei campi nazisti. “E’ molto poco probabile che seguiranno, vista l’influenza Cinese, alcun tipo di conseguenze”.
Grazie anche alla politica di uscita e di disimpegno dalle istituzioni Internazionali degli USA. Come l’Unesco.

E l’Italia? Pensate che interessi che cosa succederà tra qualche anno nel mondo?