La Brexit diventa partito
ma non trascinerà la Ue
nel sovranismo
Un orco si aggira per l’Europa. O almeno tra i giornali, le tv e i mille rivoli della Rete. È Nigel Farage, il campione della Brexit, che con il suo partito poco fantasiosamente chiamato Brexit Party si preparerebbe a diventare il primo partito nelle urne britanniche se (ed è il primo di una lunga serie di se), in mancanza di un accordo in extremis nella Camera dei Comuni entro il 23 maggio, il governo di Londra fosse costretto a chiamare gli elettori al voto per un Parlamento europeo dal quale poi, di riffa o di raffa, gli eurodeputati britannici dovrebbe andarsene. Almeno questo dicono i sondaggi che circolano da qualche giorno con un certo clamore mediatico, al quale si sono acconciati, qui da noi, anche mezzi d’informazione rispettabili e importanti come Repubblica o il TG di Enrico Mentana.
In realtà che il Brexit Party viaggi in certi sondaggi sul 25-27% e quel che resta del suo vecchio Ukip, mollato dallo stesso Farage perché troppo “estremistico”, intorno al 6-7% è una pessima notizia per chi ama l’Europa, ma non è affatto una notizia clamorosa, visto che è riferita a un paese che meno di tre anni fa scelse al 51,89% di abbandonare l’Unione. Forzando, forse un po’ troppo, l’interpretazione dei dati si potrebbe perfino sostenere che il sondaggio non è poi troppo doloroso per i fautori del “remain” considerato che a ben vedere mancherebbero all’appello un buon 15-20% dei fanatici del “leave”, i quali si sarebbero ravveduti o, più probabilmente, si sarebbero dispersi tra le file dei conservatori più ostili ai compromessi via via sempre più acrobatici proposti da Teresa May e, molto meno, dei laburisti di Jeremy Corbyn.
Sempre per restare in questo gioco dei numeri condizionato dai se, c’è poi da considerare che l’eventuale 25-27% del Brexit Party sarebbe equivalente o poco inferiore al 27,49% che l’Ukip prese alle ultime elezioni europee. Fu allora che l’orco fece la sua apparizione tenebrosa nelle istituzioni europee. Fu allora che ci si sarebbe dovuti spaventare, ben più che oggi. Tanto più che, mettendo per un attimo da parte conservatori e i laburisti in cui ci sono maggioranze forti (per i laburisti) e più deboli (per i conservatori) comunque europeiste, se si vanno a considerare gli altri partiti, e cioè i Verdi (accreditati dai sondaggi al 10%), la nuova formazione chiamata Change Uk, fondata da transfughi dai Tories e dal Labour espressamente favorevoli a un nuovo referendum (6%), i liberaldemocratici (9%) e i partiti regionalisti scozzese e gallese (4%), la somma dei loro voti supererebbe comunque quelli del partito di Farage.
Insomma, l’inaspettato, e per molti versi improvvido, ritorno sulla scena parlamentare europea dei britannici introdurrà certamente elementi di grande disordine ma non sposterà l’equilibrio dell’assemblea a favore dei sovranisti euroscettici. Anche perché alle eventuali elezioni organizzate all’ultimo minuto si presenterà un partito laburista cui viene accreditato un notevole vantaggio sui conservatori con uno score che, qualcuno sostiene, si collocherebbe sul 30%, al di sopra cioè anche del presunto exploit dei faragisti e andrebbe a recare un po’ di soccorso alle decimate file del gruppo socialisti & democratici.
Chi ha avuto la pazienza di districarsi in questa selva di numeri, tutti molto virtuali perché provengono da istituti di sondaggi non sempre affidabilissimi sparati da giornali inglesi inclini agli scoop d’effetto e tradizionalmente nemici di “quelli di Bruxelles”, si chiederà ora che effetti potrebbe avere questa resistibile ascesa di Nigel Farage sull’assetto dei rapporti nel futuro parlamento europeo. Dato il disordine che regna attualmente nel campo dell’estrema destra populista e/o sovranista è abbastanza difficile prevederlo. Nel parlamento uscente l’Ukip dispone di 24 deputati che, insieme con i cinquestelle italiani, costituiscono il gruppo Europa della Libertà e delle Democrazia Diretta (EFDD). Si tratta del gruppo più diviso al suo interno dell’intera assemblea: nella legislatura agli sgoccioli le sue componenti hanno votato nello stesso modo solo nel 48% dei casi, contro una media dell’85% degli altri gruppi. È noto che i pentastellati cercarono, con un clamoroso voltafaccia, di sottrarsi all’abbraccio di Farage (che all’inizio piaceva molto a Beppe Grillo) per confluire nell’ALDE, il gruppo liberale. L’operazione venne bloccata dall’opposizione di quasi tutti i partiti rappresentati nell’ALDE.
I cinquestelle non hanno alcuna voglia di ripetere l’esperienza e sono alla disperata ricerca di partiti, partitini e movimenti con i quali federarsi per poter costituire un gruppo, cosa per la quale sono necessari parlamentari eletti in almeno sette diversi paesi. Per ora hanno trovato come alleati personaggi abbastanza improbabili, alcuni al limite del folklore. È molto difficile, dunque, che l’EFDD possa ricostituirsi. Dove andranno a finire allora i 20-22 deputati che, stando ai sondaggi di cui sopra, il Brexit Party dovrebbe ottenere? Potrebbero andare a sostituire i conservatori britannici che probabilmente non avranno i voti per essere rieletti nell’AERC (Alleanza europea dei riformisti e conservatori), dove questi convivono con i polacchi ultrareazionari e xenofobi del PiS, il partito di Jarosław Kaczyński, il quale ha rifiutato di negoziare con Matteo Salvini la costituzione di un gruppo comune. Oppure potrebbero confluire nell’ENF (Europa delle Nazioni e della Libertà) in cui ci sono, attualmente, i leghisti italiani, il Rassemblement national di Marine Le Pen, i nazionalisti fiamminghi, gli xenofobi olandesi, la FPÖ austriaca e altre schegge della destra estrema europea. Comunque sia, il loro arrivo contribuirà a rendere ancor più confuso e instabile il panorama dell’estrema destra più o meno sovranista nel prossimo parlamento europeo.
Date queste premesse, non pare proprio che davanti a Nigel Farage si apra la prospettiva di “diventare il vero protagonista del 2019”, come è capitato di leggere su Repubblica.
I deputati del Brexit Party contribuiranno a concretizzare quello spostamento a destra che è molto probabile che ci sarà come esito del voto, ma che sarà ben lungi dall’essere il “rovesciamento”, la “rivoluzione che manderà a casa gli euroburocrati di Bruxelles” dei quali vaneggiano i sovranisti, specialmente in Italia. Se si evitasse di cadere nel conformismo che vuole lo spirito dei tempi irrefrenabilmente favorevole al peggio, sarebbe più facile ragionare senza vedere orchi che dilagano indisturbati.
Sostieni strisciarossa.it
Strisciarossa.it è un blog di informazione e di approfondimento indipendente e gratuito. Il tuo contributo ci aiuterà a mantenerlo libero sempre dalla parte dei nostri lettori.
Puoi fare una donazione tramite Paypal:
Puoi fare una donazione con bonifico: usa questo IBAN:
IT54 N030 6909 6061 0000 0190 716 Intesa Sanpaolo Filiale Terzo Settore – Causale: io sostengo strisciarossa
Articoli correlati